..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

sabato 19 ottobre 2013

"SEUL CONTRE TOUS" (1998) di Gaspar Noé

Nasciamo soli, viviamo soli, moriamo soli. Soli. Sempre soli. Ed anche quando scopiamo siamo soli. Soli con la nostra vita, la nostra carne. E' come un tunnel impossibile da condividere. E quanto più invecchiamo più siamo soli, di fronte al ricordo di una notte che si distrugge lentamente.
La vita è come un tunnel ed ognuno ha il suo piccolo tunnel. Però alla fine del tunnel non c'è neanche una luce. Anche i ricordi se ne vanno alla fine. I vecchi lo sanno bene... una piccola vita, piccoli risparmi, una piccola pensione. E poi una piccola tomba. E tutto questo non serve a niente."

Micidiale. Immenso. Questi sono i primi aggettivi che mi vengono a mente per questo incredibile lungometraggio di esordio di Gaspar Noè. Un viaggio sconvolgente ma decisamente emozionante che ci mette faccia a faccia con la solitudine più profonda, con la totale mancanza di speranza, nel buio totale. E' la storia di un uomo che ha perso tutto: famiglia, lavoro, soldi, dignità. Ha perso. Punto. E' uno sconfitto. La vita lo ha annientato... e così lo vediamo sprofondare nella depressione più cupa, coltivando una rabbia gigantesca nei confronti del mondo, dell'altro, della Vita. Non c'è più luce, non la vede. Non c'è più bellezza, soltanto lo schifo di fronte ai suoi occhi. L'odio.

Però non parla quasi mai, raramente agisce. Il film va avanti soltanto attraverso i suoi pensieri. E' tutto un continuo monologo interiore in voice-over, di una intensità allucinante. Siamo intrappolati nella sua mente, a sua volta intrappolata in un vortice di disperazione. Tutto è narrato in soggettiva, attraverso il flusso di coscienza di un perdente, che non vive più, sopravvive, fantasticando sulla fine. Immaginando una vendetta nei confronti di tutto e tutti. Ma è una vendetta soltanto immaginata.
Gli occhi dello straordinario Philippe Nahon (qui in una delle interpretazioni più importanti della sua carriera) sono sempre sbarrati, pieni di ira, mentre cammina da una umiliazione all'altra... ma le labbra sono serrate e ciò che sentiamo, per quasi tutta la durata del film, è soltanto il suo continuo rimuginare. I pensieri si sommano, si moltiplicano, non gli danno pace.
La mente del macellaio vomita sentenze di condanna sulla vita, sull'amore, il sesso, l'amicizia, la società, la borghesia, il sistema, il nascere e il morire. Non risparmia nessuno in un crescendo continuo di rabbia.

"No, di scopare non ne vale la pena. Costa caro. Però aiuta a passare il tempo. E quando ti passa la voglia di scopare non ti resta niente da fare al mondo. E che in realtà non c'è altro in questa fottuta vita. Nient'altro che un programma di riproduzione a tua insaputa, che uno si sente obbligato a rispettare. Nascere malgrado se stessi. Mangiare. Portare il cazzo in giro. Dare vita. E morire. La vita è un grande vuoto. Lo è sempre stato. Sempre lo sarà. Un grande vuoto che può continuare perfettamente senza di me." 

E' un film che ci mostra l'essenza della vita, facendoci vedere il lato più oscuro di questa. Quando vivere diventa un peso, una condanna. Quando essere nati significa essere stati intrappolati. Quando soltanto la morte sembra una liberazione. In alcuni frangenti sembra di vedere il Travis Bickle di Taxi Driver (e la sequenza nel cinema a luci rosse ne è un chiaro rimando), ma qui è tutto più estremo, forse più reale. Siamo ad uno stadio di solitudine ancora più basso. Stavolta la via di uscita è ancora più stretta. Impossibile da attraversare.
Una volta uno psichiatra che stimo moltissimo mi disse: <<Lo sai cosa ci resta da fare quando ci troviamo dentro un tunnel e non c'è via di uscita? ...arredarlo.>> ecco, qui, in “Seul contre tous”, non è possibile nemmeno quello. In quel tunnel siamo costretti a morirci, o forse a viverci per sempre, che probabilmente è anche peggio.

Il nostro macellaio, di cui non sapremo mai il nome, è uno dei più belli esempi di Antieroe che mi sia mai capitato di vedere sullo schermo. Malvagio, crudele. Razzista. Fragile. L'uomo all'apice della sua debolezza, della sua essenza.
Un film, questo “Seul contre tous” fatto di nichilismo estremo. Violenza. Cattiveria. Un film amorale. Crudo. Spietato. Bellissimo. Fino al finale...

Dopo la sequenza finale, non è più un film bellissimo, ma qualcosa di molto vicino ad un capolavoro. Sui generis, certo, controverso, coraggioso, ma davvero grandioso. Quando il brutto, l'orrido riesce a trasformarsi in un qualcosa di poetico. Ti aspetti un massacro ed invece arriva la poesia. Senza false consolazioni, però...
La vendetta non c'è, la vita non finisce. Non c'è la morte, c'è l'amore... durerà poco perché la condanna è già scritta, ma chi se ne frega!

Poco da dire sulla regia, perfetta per il contesto, ben lontana dal virtuosismo che caratterizzerà il più recente "Enter the void", ma alcune trovate sono fantastiche. Come quell'invito finale a lasciare la sala...
“Attenzione: avete 30 secondi per abbandonare la proiezione del film”
Dobbiamo resistere, perché quel che ci aspetta, fidatevi, è uno degli epiloghi più emozionanti che vi sarà mai capitato di vedere.

sabato 12 ottobre 2013

"Daisy Diamond" (2007) di Simon Staho

DIO E' MORTO. MA IL CINEMA E' VIVO.


Piange Daisy. Piange in continuazione quella piccola creatura. E piange. E grida. Incessantemente. Non ti dà pace. Piange di notte. Di giorno. Durante le tue audizioni. In ogni istante della tua vita. Ma è la tua bambina, innocente figlia indesiderata di uno stupro. La ami come ogni madre, ma la odi perché non la volevi, perché ti toglie il respiro, perché non ti lascia vivere.
Forse è nata per rovinarti la vita. O forse è lei ad odiarti. Forse è proprio per quello che piange. Perché odia la persona che l'ha messa al mondo. Perché non vuole essere tua figlia.
Per colpa sua vedi sfumare molte occasioni di lavoro. Ma provi a resistere. La guardi negli occhi. Niente. Non smette di piangere. E tu stai impazzendo, non ce la fai più. La soluzione è una soltanto: liberarsi di lei. Prendere il suo corpicino ed infilarlo nella vasca da bagno, fino a che i suoi polmoni non si siano riempiti di acqua, fino a che non sia diventata completamente blu in volto.
Adesso è immobile, non piange più.
Ma sei te, adesso, a piangere e gridare. Non te ne sei liberata. Daisy è ancora lì con te. Nel letto mentre non riesci a dormire. Ed è cresciuta e ti chiede: perché? Ti ricorda che madre crudele che sei stata.
Le parti continuano a non arrivare. Forse non era lei il problema. Forse sei tu che non hai talento. Come ultima beffa scopri che la vicina di casa gestisce un asilo nido. Ti avrebbe permesso di lasciarle Daisy. Senza pagare. Se solo non tu l'avessi uccisa.
Ma è tardi ormai. Sei un'assassina. Un'attrice mediocre. Una fallita. Una puttana. Ma sei anche un essere umano e puoi continuare a fare ciò che hai sempre fatto: recitare. Ed allora interpreti la parte della tua vita. Ti spogli, di fronte alle telecamere. Ti immergi nella vasca. Riempi i tuoi polmoni di acqua, con gli occhi aperti, verso l'alto, fino a quando non restano sbarrati.

Dio è morto. Dio è morto per Simon Staho. Dio è morto in ogni scena di questo film. Ma il cinema è vivo, con tutta la sua potenza e bellezza. “Daisy Diamond”, lungometraggio del 2007 firmato dal regista danese Simon Staho è un film che mette a dura prova lo spettatore, lo obbliga ad astenersi da ogni giudizio morale. E lo fa soffrire. Tantissimo. Troppo?

Un film “Bergmaniano” nell'impostazione e nei contenuti, è la storia di una giovane madre, desiderosa di fare l'attrice, ma incapace di prendersi cura della piccola figlia , frutto della violenza subita dall'ex fidanzato che ha pensato bene di sparire. E non c'è latte nei seni. E non ci sono soldi per campare. E' quindi la storia di una persona fragile che in preda alla disperazione arriva a compiere il più crudele dei crimini. Non solo omicidio. Non solo infanticidio. Ma anche figlicidio.

E così la vediamo precipitare nella follia, nel rimorso, nella profonda disperazione, mentre risuonano i monologhi e i dialoghi di “Persona” di Bergman. L'utilizzo continuo di lunghissimi primi piani ci costringe a scrutare dentro i suoi occhi. Cosa vediamo? Un essere spregevole destinato all'inferno oppure un essere umano?
Nella seconda ipotesi, possibile soltanto se accettiamo di essere a-morali, possiamo entrare in empatia con il personaggio di Anna. E la seguiamo nella sua punizione, orribile quasi quanto la colpa. La vediamo sottoposta (sottoporsi) a terribili torture sia psicologiche che fisiche. Il suo corpo nudo, privo di ogni difesa, diventa oggetto di violenza ed umiliazione. Lei continua a guardarci con lo sguardo rivolto in camera. Ci sussurra. Poi grida. Poi nuovamente sussurra, in un continuo esame di coscienza.
Ed il tutto mentre cinema (finzione) e vita (realtà) si mescolano indissolubilmente.

Credetemi, avrei preferito stroncare questo film. Avrei preferito che non mi fosse piaciuto, mi sarei sentito meno colpevole. Avrei preferito condannarlo, essere qui a scrivere: <<Perchè scomodare Bergman? Quale presunzione nel prendere dialoghi ed immagini di un capolavoro assoluto come “Persona” ed infilarli un film così mediocre che tenta soltanto di provocare e scandalizzare? >>
Ma la realtà è che questo “Daisy Diamond” è tutto tranne che un film mediocre. Non ce la faccio perché una pellicola grandiosa, magnifica, nella forma, nei contenuti, nelle musiche, nel modo in cui è scritta e recitata. Quasi perfetta nel raffigurare l'essere umano e la sua innata debolezza.
Come un film di Bergman. Ecco, l'ho detto.

Voto “a caldo”: 10.


Strepitosa Noomi Rapace.


sabato 5 ottobre 2013

"Buffalo '66" di Vincent Gallo (1998)


"She brings the sunshine to a rainy afternoon...
She puts the sweetness in and stirs it with a spoon,
She watches for my moods and never brings me down..
She puts the sweetness in all around...
She knows just what to say to make me feel so good inside


and when I'm all alone I feel I don't want to hide..."



Come vi sarete resi conto sono un inguaribile romantico e tendo ad amare le storie d'amore impossibili, assurde, al limite del surreale, tra personaggi “border-line” che però riescono a conquistarti ed emozionarti grazie alla loro leggerezza. In più prediligo i film con una trama esile, intimisti... così come amo i film dalla regia non convenzionale, acerba, a tratti completamente “sbagliata” e soprattutto amo i film d'autore sinceri, dove emerge con tutti i suoi difetti, il pensiero del regista, il suo modo di intendere il cinema e la vita.
Ecco, “Buffalo '66”, lungometraggio di esordio di quel pazzo di Vincent Gallo, è tutto questo. Un film che parla di solitudine ed amore, sincero, originale, magari fatto più per se stesso che per il pubblico...si, autoreferenziale, ma in questo caso non me la sento di considerarlo un difetto. Gallo, attore, regista, sceneggiatore, musicista, pittore, ha deciso con questo film di mettersi a nudo, dare libero sfogo alla propria creatività ed ha creato un'opera così personale che non può non suscitare emozione. Il film che ne è uscito fuori è una pellicola profondamente malinconica, a tratti angosciante, eppure così dolce...

E' la storia di Billy Brown, un tipo fuori dagli schemi, un perdente, uno sconfitto dalla vita... che ha perso più di 10000 dollari, scommettendo sulla vittoria al superbowl della squadra di Buffalo, la città dove è cresciuto. Ed a causa di questa scommessa persa, è stato costretto per ripagare il debito, a confessare un crimine che non aveva commesso ed a passare quindi 5 anni della sua vita in carcere. Uscito di galera, così, ha un solo obiettivo: uccidere il giocatore responsabile dell'errore che aveva determinato la sconfitta di Buffalo. Prima di far questo, però, decide di rapire una giovane ballerina (Cristina Ricci) ed obbligarla a fingere di essere sua moglie di fronte ai suoi familiari. Segue quindi la lunga sequenza della cena in famiglia, in cui conosciamo i genitori di Billy, anch'essi due perdenti, una mamma tifosa sfegatata dei Buffalo Bills e un padre ex cantante nei night-club, che sembrano non avere un minimo interesse per il figlio....

La telecamera si sofferma sullo sguardo assente di Billy, sulla profonda tristezza che si legge nei suoi occhi. Capiamo che per lui, la prigionia non è mai finita, la vita stessa è il suo carcere. Si comporta in maniera violenta, urla, prova a fare il duro... ma noi spettatori non caschiamo nell'inganno, riusciamo a capire il suo mondo interiore, aiutati dai continui flashback che ci vengono mostrati in split-screen... E' un tipo che vorrebbe amare, ma ha paura del contatto fisico, di lasciarsi andare, per via della profonda mancanza di fiducia nei confronti dell'umanità che lo circonda.
E poi, soprattutto... c'è il bellissimo rapporto che si sviluppa tra lui e la giovane ragazza, che non esita ad amarlo senza chiedere niente in cambio. E' lei che "She puts the sweetness in all around".. 
Ed è veramente un personaggio fantastico questo qua interpretato da una favolosa Cristina Ricci. Goffa, lunatica, introversa, ma allo stesso tempo così tenera e sincera...
Talvolta la telecamera si sposta, le luci si abbassano ed un proiettore illumina i volti dei protagonisti. Ci sono balletti, canzoni, abbracci dolcissimi nei letti del motel.

Sin dal primo lungo piano-sequenza su Billy che esce di prigione e si trova completamente solo in mezzo alla desolazione del paesaggio innevato, fino ad arrivare all'eccezionale doppio finale, il film non smette mai di emozionarti. Ti fa sorridere, talvolta ridere, a volte arrabbiare, altre volte ancora commuovere... uno di quei film che ti va venire voglia di mandare in culo tutto il modo, ed allo stesso amarlo. Un film che ti fa sperare in mezzo alla merda del quotidiano e ti lascia con un bel sorriso stampato in faccia.

Il registro è variabile, si passa dalla commedia nera al noir, al comico, dal surrealismo al realismo...dal grottesco al sentimentale. Ritmo frenetico in alcuni frangenti, lentissimo in altri...La fotografia fredda e irreale, le immagini sporche, le musiche tristi, lo rendono quasi perfetto nella sua imperfezione. Un film che si ama o si odia, ma senza dubbio un piccolo gioiello del cinema indipendente, che merita sicuramente di essere recuperato. Una perla che nessun amante del cinema dovrebbe farsi sfuggire.


Voto 8, grande Vincent Gallo!

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