..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

martedì 18 febbraio 2014

"CHE ORA E' LAGGIU'?" (2001) di Tsai Ming-Liang



Non è semplice l'approccio al cinema di Tsai Ming-Liang e soprattutto non è semplice parlarne, ma mi sento in dovere di farlo, nella speranza che almeno uno su cento di coloro che capitano per caso su questo blog provi a guardare il film in questione, a non demordere dopo quella prima mezz'ora in cui sembra non succedere quasi niente.
Non che dopo succeda molto di più nel film, ma succede dentro di te, caro (possibile) spettatore.

O meglio, senza la presunzione di generalizzare... dentro di me quel qualcosa è successo, è successo eccome. Ed ecco, quindi, che ancora una volta la visione di “Che ora è laggiù?” come era successo per “I don't want to sleep alone” (altro splendido film dello stesso regista) si è rivelata un'esperienza unica, straordinariamente emozionante. E non può essere un caso se per due volte tale regista mi ha fatto provare emozioni così forti.

Devo essere sincero, bisogna dargli tempo ai suoi film, bisogna “banalmente” lasciarsi andare ed in quel caso, quando meno te lo aspetti, quando stai per spegnere tutto e maledire Tsai e chi te l'ha consigliato, improvvisamente il film ti rapisce, si impossessa di te, te ne innamori e ti sembra assurdamente di essere diventato parte del film. Allora quella lentezza "eccessiva", quelle inquadrature immobili, quei continui silenzi, quella monotonia, quella noia, acquistano spaventosamente senso ed appaiono così reali, vere.
Ti rispecchi dentro il film, dentro quegli sguardi persi nel vuoto, dentro quell'immobilità che assume connotati apocalittici, dentro quella ripetizione ossessiva di gesti semplici, ma “strani”.

Tsai Ming Liang, in effetti, fa un “anti-cinema”, un cinema che riduce al minimo il montaggio, che esclude una qualsivoglia forma di colonna sonora, che non narra soprattutto, ma semplicemente riprende la vita in ogni attimo. Anzi, non in ogni attimo, ma in quelli insignificanti. In maniera radicalmente diversa dal cinema “convenzionale”, il cinema di Tsai non si disinteressa dei gesti irrilevanti, dei momenti vuoti, non li esclude ma li fa diventare elemento principale. L'attenzione è proprio rivolta a tutti quei momenti considerati inutili e senza ragione di esistere, specialmente all'interno di un film.

Di conseguenza il tempo si dilata e la telecamera fissa sembra non voler ostacolare il lento fluire della vita dei protagonisti. Spesso Tsai non inquadra nemmeno i personaggi, ma volge la telecamera verso un punto non ben precisato ed i personaggi semplicemente entrano in scena ai margini e dai margini escono.

Ci sono in pratica tre protagonisti.

C'è una innanzitutto una ragazza che decide di andarsene da Taipei alla volta di Parigi e che si compra prima di partire un orologio da un tizio che li vende per strada, uno di quegli orologi con il doppio orario.
Poi c'è quel ragazzo, quello che vende orologi, che ha appena perso il padre e che vende l'orologio a quella ragazza, proprio l'orologio che ha ereditato dal suo vecchio. Ad affare concluso, Hsiao Kang (questo il suo nome) non rivedrà più quella ragazza, ma continuerà a pensare a lei costantemente. E così comincerà a cambiare l'ora a tutti gli orologi che si trova a portata di mano sintonizzandoli con il fuso orario di Parigi...
Ed infine c'è la madre di questo ragazzo, che ancora non ha superato la morte del marito e continua ad attendere il suo ritorno, a sperare che il suo spirito si manifesti.

Tre solitudini diverse tra loro, destinate a non incontrarsi per via dell'oggettiva distanza fisica tra Parigi e Taipei, oppure a causa di quella soltanto astratta che c'è tra la madre ed il figlio, che non si comprendono e forse non si comprenderanno mai.

Domina l'apatia, l'incapacità di vivere a fondo la vita, di essere felici, di liberarsi di quella tristezza che si espande silenziosamente, in maniera non eclatante, dentro i personaggi del film...

Il viaggio a Parigi della ragazza si rivela ben diverso da come se lo era immaginato e quella solitudine, da cui tanto voleva fuggire, complici anche le difficoltà linguistiche, diventa sempre più pesante. Vorrebbe persino telefonare a quel ragazzo che le ha venduto l'orologio, ma ha perso il numero e non potrà più farlo. Le loro strade si sono separate inesorabilmente, anche se allo stesso tempo sembra che ci sia ancora un filo sottile che li congiunge... Lui per esempio, per sentirsi più vicino a Parigi si compra la cassetta de “I quattrocento colpi” di Truffaut, film emblema della “Nouvelle Vaugue” e della capitale francese e se la guarda di notte in preda all'insonnia, mentre lei dall'altra parte del mondo incontra casualmente proprio Jean-Pierre Léaud, invecchiato, in un cimitero, ovviamente senza riconoscerlo.

Successivamente lei trova un minimo sollievo incontrando una ragazza di Hong Kong con cui finalmente riesce a comunicare. Ci scappa anche qualche sorriso, un bacio, ma la sequenza successiva è di una tristezza impietosa con le due ragazze, a letto insieme, sotto le coperte, che guardano fisse verso il vuoto, entrambe disperate, come si fossero ormai arrese, mentre il ragazzo degli orologi dall'altra parte del mondo, trova il suo di sollievo, scopando in macchina con una prostituta. Nel frattempo la madre si masturba pensando al marito...

Il tutto, però, credetemi, raggiunge livelli di intensità e delicatezza altissimi, fino a culminare nello splendido finale, straordinario anche dal punto di vista esclusivamente visivo.

Cinema come musica, quindi, ancora una volta, cinema che non racconta niente di particolare in fin dei conti, ma che riesce ad arrivare dritto al cuore e lasciarti dentro qualcosa di grande.

E c'è una scena emblematica, soltanto apparentemente inutile, in cui la protagonista si trova alla fermata della metropolitana e sta aspettando il suo treno. Nel mentre ne arriva un altro, dall'altra parte e dentro c'è un tizio che sembra guardarla con interesse. Sembra essere affascinato dalla ragazza, lei nemmeno se ne accorge. Il treno riparte. Non si incontreranno mai.


4 commenti:

  1. Film immenso, inarrivabile. Non parlerei di anti-cinema, però: Ming-liang è il cinema.

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    1. Speravo si capisse il senso di questa espressione.... è un anti-cinema soltanto in relazione al cinema "convenzionale", perché si colloca in una posizione diametralmente opposta...era quello che intendevo ;-) Poi per me è cinema di primissimo livello!!

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  2. "E non può essere un caso se per due volte tale regista mi ha fatto provare emozioni così forti."... E vedrai che non saranno le uniche volte, Vittorio, se ti capiterà di continuare l'esplorazione nel mondo di Tsai. Piaciuto molto anche a me questo film, è sicuramente tra i migliori, anche se ho preferito altre sue cose, tipo "Il Gusto dell'anguria", "Il Buco (Dong)" e ovviamente l'ultimo, ineguagliato "Stray Dogs".

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    1. Tsai Ming-Liang diventerà per me una droga, me lo sento... Prima o poi recupererò tutti gli altri suoi film, ne sono certo! e riguardo a "Stray dogs" ne parlate tutti come di un capolavoro senza mezzi termini...non vedo l'ora di vederlo. Ancora non è reperibile vero? In Italia al cinema penso che possiamo scordarcelo...però dovrebbe uscire almeno il dvd, spero!

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