..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

sabato 22 novembre 2014

"IL SALE DELLA TERRA" di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado. (2014)



Lo sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Ne ero certo. Ormai sono mesi che ho messo in pausa questo blog per motivi personali e la voglia di ricominciare a scrivere di cinema era davvero tanta. Ma aspettavo LUI: quel film che mi avrebbe obbligato a rimettermi a scrivere. Quella visione che mi avrebbe impedito di rimandare. Ecco, finalmente è arrivato… e forse nemmeno me l’aspettavo. E pensare che di bei film di recente ne ho visti tanti, ma niente mi aveva così piacevolmente fatto a pezzi come questo: “Il sale della Terra”, girato di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, dedicato alla vita ed all’opera artistica del fotografo ed antropologo Sebastiao Salgado, autore di migliaia di scatti meravigliosi, che nella sua vita, girando per tutto il mondo ha saputo ritrarre in maniera straordinaria la sofferenza umana, la continua lotta dell’uomo contro il proprio destino, sapendo allo stesso tempo omaggiare e mettere in risalto la bellezza entusiasmante della natura. Un fotografo-pittore, mosso da un potente intento sociale, che ha immortalato il genocidio in Rwuanda, il terribile conflitto nei Balcani, la vita dei contadini del Perù e di quelli della Siberia. Un uomo che con i suoi scatti in bianco e nero ci ha sbattuto in faccia l’orrore della fame e della morte con progetti come “Other Americas”, “Exodus”, “Workers”, “Sahel: the end of the road” ed infine ha saputo omaggiare il pianeta con la raccolta fotografica “Genesis”.

Data la dovuta promessa, tuttavia, non è di Salgado che voglio parlare, ma di questo monumentale documentario a lui dedicato da Wim Wenders e dal figlio Juliano. Buio in sala e la voce narrante ci spiega l’etimologia della parola FOTOGRAFIA. “Disegnare con la luce” … Ed a quel punto cominciano a prendere forma le immagini in un bianco e nero stupendo. Siamo scaraventati nella più grande miniera d’oro del mondo in Brasile, attraverso gli scatti di Salgado e lì comincia il viaggio… di Wenders, di Salgado stesso che dopo la laurea in economia decise di abbandonare con coraggio una promettente carriera e mettersi a girare per il globo per poi mostrare a tutti quella parte del mondo mai vista in occidente. Ma soprattutto comincia il viaggio di noi spettatori. Un’esperienza totalizzante capace di toccare qualsiasi sentimento, qualsiasi emozione… SI sorride, ci si commuove, si rimane terrorizzati. C’è lo sdegno nei confronti di cose che non osavamo immaginare, dei volti scavati dalla fame, negli occhi spenti di chi non riesce nemmeno più a sperare. E poi c’è l’estasi provati di fronte ai paesaggi della Siberia, del deserto etiope.

Wenders ha fatto un lavoro incredibile con l’Immagine. Mischiando fotografie di Salgado a riprese da lui stesso fatto (con una fotografia che talvolta ha poco da invidiare a quella di Salgado), accompagnando sapientemente il tutto con un voice-over che non stanca mai. Talvolta Wenders riprende Salgado nell’atto di fotografare, vediamo ciò che il fotografo ha davanti…gli elementi che comporranno la fotografia ci sono già tutti, ma la foto arriva dopo ed è incredibile rendersi conto di come un immagine statica riesca a racchiudere di più di ciò che c’era prima quando la telecamera riprendeva in movimento.
E  poi ci sono i primi piano sull’uomo Salgado che ci racconta la storia delle sue fotografie ed allo stesso tempo la sua storia. Ci mostrano una persona fiera della propria vita, delle proprie scelte. Che non si pente di ciò che ha fatto, di essere stato un padre assente, sempre lontano dalla famiglia. Che non si vergogna ad ammettere di essere entrato profondamente in crisi dopo il viaggio in Rwuanda, tanto da abbandonare la fotografia per anni ed aver smesso poi di dedicarsi ai conflitti per cominciare a fotografare la natura.

L’immagine e l’uomo. Così riassumerei questo film. L’immagine e l’uomo. Così il cinema riesce ad esprimere tutta la sua potenza. Salgado è sempre stato interessato all’Uomo. Il vero sale della Terra siamo noi: gli uomini con tutte le nostre contraddizioni. Uomini diversi in ogni parte del pianeta, ognuno a combattere la propria lotta. Questo ha sempre voluto raccontare il protagonista e come i migliori registi, al pari di un Bergman o di un Antonioni ha deciso di farlo attraverso quello che è uno degli strumenti più importanti per colpire direttamente al cuore e toccare le corde più profonde dell’animo umano: l’Immagine. Scusate se insisto, ma in un periodo in cui il cinema sembra aver perso l’interesse per l’immagine, eclissandosi dietro la narrazione e l’azione, Wenders attraverso Salgado riesce ad affermare nuovamente la potenza incredibile dell’immagine. Cinema all’ennesima potenza quindi. Finalmente.
Si naufraga in un calderone di emozioni. Di fronte a noi l’infinito. Che è il mondo, che è l’uomo.  



“Quella di Salgado è un'epopea fotografica degna del Fitzcarraldo herzoghiano, pronto a muovere le montagne col suo sogno 'lirico'. Viaggiatore irriducibile, Sebastião Salgado ha esplorato ventisei paesi e concentrato il mondo in immagini bianche e nere di una semplicità sublime e una sobrietà brutale. Interrogato dallo sguardo fuori campo di Wenders e accompagnato sul campo dal figlio, l'artista si racconta attraverso i reportages che hanno omaggiato la bellezza del pianeta e gli orrori che hanno oltraggiato quella dell'uomo. Fotografo umanista della miseria e della tribolazione umana, Salgado ha raccontato l'avidità di milioni di ricercatori d'oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo, ha denunciato i genocidi africani, ha immortalato i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, ha testimoniato i mestieri e il mondo industriale dismesso, ha perso la fede per gli uomini davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda e 'ricomposti' nella perfezione formale e compositiva del suo lavoro. Un lavoro scritto con la luce e da ammirare in silenzio.” –Marzia Gandolfi.
























  
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