..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

martedì 24 dicembre 2013

"Fuoco fatuo"(1963) di Louis Malle

<<Avrei voluto accattivarmi la gente, trattenerla, legarla a me, che niente mi si muovesse più attorno. Ma è andato sempre tutto per aria.>>
<<Ma tu ami la gente fino a questo punto?>>
<<Volevo tanto essere amato che mi sembra di amare.>>






Talvolta capita di imbattersi in dei film che ti riempiono, che riescono a colmare il vuoto. Che ti avvolgono, ti abbracciano, ti sorreggono, ti coccolano. Questo è l'effetto che mi ha fatto “Fuoco Fatuo” di Louis Malle sin dai primi attimi in cui mi sono abbandonato alla sua visione. Un film di una tristezza sconfinata, ma talvolta aiuta rispecchiarsi nella tristezza di un film.
Bastano alcune inquadrature, alcuni primi piani, alcune semplici note di pianoforte e ti sembra che quel film sia sempre stato tuo. Che sia sempre stato dentro di te, anche prima di vederlo... in vita mia mi è successo davvero poche volte, con “Otto e mezzo” di Fellini sicuramente e forse più di recente con “Seul contre tous” di Gaspar Noè...
Si, perché al pari di quelli sopra citati, il film di Louis Malle è un film di una potenza emotiva strabiliante. Certo può non arrivare a tutti, ne sono consapevole, ma qui non faccio recensioni “oggettive” lo sapete bene.

In scena c'è la vita. Nient'altro. La vita di un uomo che non vuol più vivere, non ce la fa più... il giorno successivo, il 23 luglio si suiciderà e non c'è dubbio che lo faccia. Lo sappiamo sin dall'inizio. Il suo girovagare senza meta, il suo incontrare amici per dei fugaci dialoghi, è finalizzato soltanto a trovare una spinta, una giustificazione dell'atto che sta per compiere.
Ed è difficile spiegare come un film, dove la morte è presente sin dalla prima scena, possa descrivere così bene la vita. Non la vita “in toto” è chiaro, ma una vita al capolinea che pur sempre vita è.

Alain Leroy, ex alcolizzato, da 4 mesi ospite in una clinica, è ormai stanco della sua esistenza. Il mondo gli è totalmente estraneo. E c'è una scena in questa ottica che appare esemplare e formidabile: Alain da solo, seduto al tavolino di un bar che si guarda attorno... la gente che passa veloce, la vita che scorre, ad una velocità doppia. Il montaggio frenetico non fa altro che sottolineare questa frattura fra Alain ed il resto del mondo, ormai non più saldabile. (http://www.youtube.com/watch?v=IwSQxlwMzr8)
Un amico prova in tutti i modi a riportarlo sulla presunta “dritta via”, lo invita ad accettare il passare del tempo, la mediocrità. Ma quella mediocrità Alain non l'accetta. Non la vuole. Lui voleva primeggiare. Soldi, belle donne, vita intensa, come un tempo... prima che cominciasse ad affogare nell'alcol tutti i suoi dubbi, le sue paure.
<<Ho cominciato ad aspettare le cose, e bevevo, poi un giorno mi sono accorto che avevo passato la vita aspettando. Le donne, i soldi, l’azione. Allora mi sono ubriacato a morte.>>

Ma adesso che ha perso pure la dipendenza, non gli è rimasto più niente....soltanto il vuoto, pesante, asfissiante. Fuori dalla clinica, si sente perso. << La vita dell'ammalato è regolata, semplice, ci si sente al sicuro. Non ho molta voglia di tornare alla vita, Parigi mi fa paura.>>... Resta soltanto un angoscia perpetua, un timore sconsiderato nei confronti della vita, del futuro, un amarezza incancellabile nei confronti del passato. Guarda quella pistola, la maneggia con cura, è la sua unica speranza rimasta. Non gli rimane altro da fare che preparare la valigia e congedarsi.
In fonod non gli bastano più le belle ragazze che gli passano attorno, non gli bastano gli amici, non gli basta la filosofia, la poesia, non gli bastano i progetti...non gli basta il sole, non gli basta l'amore.

O meglio, l'amore potrebbe bastargli... ma non è mai riuscito ad afferrarlo, non è mai riuscito a goderselo, senza quella distruttiva ansia di essere all'altezza delle donne amate, di soddisfarle...
Cosa resta ad Alain?
perché soffrire? Perché continuare a lottare quando si è già lottato a lungo e siamo ormai stanchi?

In tutto questo, la meraviglia è che il regista riesce a parlare di suicidio senza essere minimamente giudicante, senza morale ed allo stesso tempo senza voler per forza commuovere, dosando alla perfezione le luci, le parole, le musiche.
Senza mai difendere o condannare Alain. Anche perché in fondo cosa c'è da difendere o condannare?

Ciao Vita, è ora di andare. Dorothy mi dimenticherà presto.

*splendida colonna sonora di Erik Satie. 


 "Non, Vita, perché tu sei nella notte
la rapida fiammata, e non per questi
aspetti della terra e il cielo in cui
la mia tristezza orribile si placa:
ma, Vita, per le tue rose le quali
o non sono sbocciate ancora o già
disfannosi, pel tuo Desiderio
che lascia come al bimbo della favola
nella man ratta solo delle mosche,
per l'odio che portiamo ognuno al noi
del giorno prima, per l'indifferenza
di tutto ai nostri sogni più divini,
pel non potere vivere che l'attimo
al modo della pecora che bruca
pel mondo questo e quello cespo d'erba,
e ad esso si interessa unicamente,
pel rimorso che sta in fondo ad ogni
vita, d'averla inutilmente spesa,
come la feccia in fondo del bicchiere,
per la felicità grande di piangere,
per la tristezza eterna dell'Amore,
pel non sapere e l'infinito buio...
Per tutto questo amaro t'amo, Vita."
--Camillo Sbarbaro

domenica 22 dicembre 2013

"Angeli violati" (1967) di Koji Wakamatsu


Può un film che racconta un orribile fatto di cronaca, una storia di follia e violenza estrema, essere di una sconfinata raffinatezza e dolcezza? Si, può esserlo. E ce lo dimostra Koji Wakamatsu con questo splendido “Angeli violati”, film di appena 57' capace di emozionare ed incantare, grazie alla bellezza delle immagini e delle musiche.
Ispirato ad una storia vera, il film narra di un pluriomicidio: è la storia di un pazzo che entra in un dormitorio di infermiere e le uccide una per una in maniera brutale, risparmiando alla fine soltanto una ragazza. Disadattato, depresso, frustrato, incazzato con il mondo intero e soprattutto ossessionato ed intimorito dal sesso, il giovane ci viene presentato nelle prime scene del film attraverso le proiezioni della sua immaginazione: una splendida carrellata di nudi femminili in bianco e nero, labbra, occhi, gambe, piedi... Segue poi la sequenza in cui lo vediamo provare la propria pistola in riva al mare e soltanto dopo questa scena veniamo scaraventati dentro il dormitorio. Due delle infermiere stanno consumando un rapporto saffico, le altre le stanno spiando da un buco della parete. Arriva quindi il ragazzo e sono le stesse infermiere a farlo entrare, inconsapevoli dell'incubo che che si troveranno a vivere di lì a pochi minuti.
Il resto del film è un dilagare irrefrenabile della follia. Il ragazzo impazzisce e sfoga tutta la sua rabbia sulle innocenti fanciulle. Vediamo i suoi occhi pieni di ira. Entriamo nella sua testa, viviamo i suoi incubi, assaporiamo la sua misoginia, determinata dalla paura del sesso femminile, derivate probabilmente da una incapacità di soddisfare sessualmente le ragazze. Nella sua mente distorta, la donna è un mostro, un pericolo e le sequenze oniriche mostrateci da Wakamatzu in questa ottica sono perfette per farci entrare in empatia con il killer, per farci assaporare la sua fragilità.
Per una buona mezz'ora il film diventa un qualcosa di estremamente disturbante. Le urla delle ragazze, i loro occhi pieni di terrore, ci assalgono lo stomaco, ce lo stritolano... e ci troviamo così combattuti tra sentimenti di compassione, nei confronti sia delle vittime che del carnefice, e sentimenti di rabbia ed odio profondo.
Se riusciamo a resistere, però, ciò che ci aspetta è una finale di una dolcezza impressionante. In pieno stile orientale, la violenza, la brutalità, si mescolano improvvisamente alla poesia, al romanticismo. Le musiche ci trasportano in un'altra dimensione, dal bianco e nero si passa bruscamente al multicolor ed il film assume tutt'altra forma e sapore. Il killer spietato si trasforma anch'esso in un angelo violato e non lo vediamo più come carnefice, ma anche questo come fragile vittima di un mondo crudele, bisognosa soltanto di essere amata.


Fortemente criticato, condannato, proibito in quasi tutto il mondo, “Angeli violati” è a mio modo di vedere un gioiello perduto da riscoprire. Malgrado la trama esile, i pochissimi dialoghi, è una pellicola che riesce a far breccia nel cuore grazie alla bellezza delle immagini, a quelle inquadrature sugli sguardi dei protagonisti dotate di una incredibile sensibilità intrinseca. E' un film che penetra dentro, lo si sente scorrere dentro di noi con la sua potenza. Lo si vive. Punto.

sabato 14 dicembre 2013

"Oltre l'Eden" (1971) di Alain Robbe-Grillet

Oltre l'Eden... ai confini del cinema.

 Non essere. Oppure recitare. Questo è il problema. Niente sentimenti. Nessuno dei miei sentimenti esiste. Tranne quello che fingo di provare.



Un film cupo, pervaso di luce. Sembra impossibile ma è così...

Specchi che ingannano, geometrie che imprigionano, luminosità che acceca... sangue, sesso, perversioni, incubi... Menti distorte...
Scusate l'incipit criptico di questa recensione. Anzi, questa (purtroppo), non sarà una recensione, perché in tutta franchezza “Eden et apres” è un film difficilissimo da analizzare, impossibile da classificare. Non saprei nemmeno se chiamarlo “film”. Si ha l'impressione, infatti, sin dai primi attimi, di trovarsi di fronte ad un qualcosa che esula dalla definizione classica di film. Non c'è una trama precisa, non c'è sceneggiatura, dialoghi ridotti all'essenziale, quasi soltanto voce fuori campo... Un esperimento artistico, probabilmente è meglio chiamarlo così. Ma che esperimento! Straordinario lo definirei, non solo extra-ordinario. Pazzesco.

Voglio mettere le mani avanti: è una pellicola che probabilmente agli occhi di molti potrà passare come eccessivamente pretenziosa. Un gioco intellettuale. Proprio come quello dei protagonisti, che si chiudono in un edificio che sembra un quadro astratto di Mondrian, per mettersi alla prova continuamente con giochi suicidi. Roulette russe che portano alla morte, fatte così per scherzo... Avvelenamenti gratuiti, senza movente, senza sentimento... e poi si butta giù in gola la “Polvere della paura” e si precipita negli incubi (in una delle scene più allucinati e suggestive ). Direttore d'orchestra un misterioso uomo,lo “straniero” al ritorno dall'Africa. E' lui a coinvolgere i ragazzi in giochi assurdi, apparentemente (o effettivamente) senza senso... Segue un omicidio e poi un lungo trip, un sogno che prende la forma di un viaggio in Tunisia, alla ricerca di non si sa cosa... basta, non c'è da parlare di trama, perché quella conta veramente poco.
Ma non fraintendetemi, malgrado questo suo forte intellettualismo è un film che riesce a sorprendere, incantare... Certo, bisogna stare al gioco, accettare l'esperimento del regista, ma se lo si fa, quel che ci troviamo di fronte è un esperienza unica, al limite tra il thriller e l'erotico, ai confini del cinema...

Basterebbe l'estetica formidabile a farci dimenticare dei contenuti difficilmente afferrabili... la fotografia straniante nella sua perfezione... le musiche, gli occhi timorosi della sensuale protagonista o tutte quelle scene in cui il rosso vivo del sangue si erge dal bianco delle pareti.


Un film che è l'apoteosi dell'onirismo. Surrealismo puro. Tutta immaginazione. Poi ci si può vedere la storia di una ragazza fragile attratta dal fascino del mistero, del male. Ma è uno di quei casi in cui tentando di spiegare un film, tentando di dargli una logica, non si fa che indebolirlo. Magari non ci ho capito niente, cosa possibilissima, magari l'intento del regista era altro...

Probabilmente qualcuno più bravo di me saprà fornirne un analisi più dettagliata, saprà scovarne significati nascosti, teorie filosofiche e quant'altro. Io, in tutta onestà, mi sento alquanto impotente, ma non posso non segnalarvi, non consigliarvi (ebbene si) questa opera.

Ciò che mi preme stavolta è destare la vostra curiosità. Questa più che una recensione è un invito che rivolgo a quei pochi cinefili che di rado capitano su questo blog di provare a vedere questa pellicola, provare ad immergersi... e magari provare a commentarla insieme, perché in rete si trova ben poco.

Fidatevi, è un qualcosa da scoprire, anche solo per vedere fin dove il cinema può arrivare, o forse solo per godere delle immense potenzialità di questo mezzo, che non deve essere per forza narrazione e questo film ne è una chiara dimostrazione.

Grazie ad Enrico Ghezzi per averlo mandato in onda su Fuori Orario e grazie a Luigi Rotondo di "The cinema & Music show" ed a "I controversi" per avermelo segnalato e consigliato!

“Che cosa cerchi qui?

Niente. E l'ho trovato”.




 


 


sabato 30 novembre 2013

"Mud" (2013) di Jeff Nichols


“Mud”, ultimo lavoro del regista trentacinquenne Jeff Nichols, che con il precedente “Take Shelter” era riuscito a strappare gli elogi sia del pubblico che della critica, è l'ennesima dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che basta veramente poco per fare un bel film film, capace di arrivare al cuore di un vasto pubblico. La trama semplice e la regia essenziale, infatti, non tolgono certo punti ad una pellicola capace di coinvolgere e trasmettere molte emozioni. Ben lontano dalla pretenziosità di certo cinema d'autore, questo “Mud” è un film che con la sua semplicità, riesce ad essere estremamente intenso e non è certo poco, specialmente in questi ultimi tempi. Come avete potuto intuire in questi primi mesi di vita del blog, tendo a preferire film di tutt'altro stampo, eppure mi rimane difficile parlar male di una pellicola del genere. Di sicuro non ve la indicherò, come è stato fatto in altri blog, come uno dei possibili migliori film dell'anno, in quanto innegabilmente distante anni luce dal tipo di cinema e di storie che preferisco. Però, allo stesso tempo, è difficile esimersi dal consigliarlo.

Come sono solito fare, ne parlerò partendo dalle emozioni che mi ha lasciato. Ecco, a livello di sensazione a termine della visione, mi ha un po' ricordato ciò che provai quando vidi diversi mesi fa ormai, “Noi siamo infinito”. Sono convinto che chi ha apprezzato il film di Stephen Chbosky, sicuramente non rimarrà deluso da questa pellicola. Anche questo, infatti, proprio come “Noi Siamo Infinito” è una bella storia di amicizia, di amore, di sogni, di aspettative, ma anche di disillusione, che si configura come un classico “film di formazione”, in cui è messa in primo piano la crescita del protagonista Ellis, quattordicenne alle prese con le prime difficoltà della vita: il trasloco obbligato, l'imminente divorzio dei genitori, le prime delusioni amorose, qualche scazzottata. Fin qui sarebbe la stessa storia, vista e rivista, se non fosse per la presenza dell'altro protagonista, il misterioso “Mud”, interpretato alla grande da uno straordinario Matthew McConaughey che si sta confermando come uno degli attori maggiormente in crescita nell'ultimo periodo.
E' proprio lui, il personaggio che da il nome alla pellicola, a conferire spessore a tutto il film. Ma chi è questo “Mud”? Lo scopriamo piano piano andando avanti con la narrazione. All'inizio del film è soltanto un uomo senza una precisa identità che i due ragazzini, Ellis e Neckbone, incontrano su di un isola in mezzo al fiume Mississipi. Uno strano tipo che vive su di una barca rimasta incastrata tra i rami di un albero a seguito di un alluvione. Per Neckbone è solo un barbone, un uomo pericoloso, per Ellis, invece, diventa subito un amico... Di quelli a cui sin dall'inizio dai il massimo della fiducia, senza porti troppe domande. Di sicuro è molto ingenuo Ellis, perché non sa con chi ha a che fare, ma la sua ingenuità nell'offrirsi subito di aiutare il misterioso Mud è uno degli elementi migliori del film.



Mud racconta ai ragazzini che sta cercando di rimettere in mare quella barca, per fuggire con la donna che ama. In realtà è in fuga dalla legge: ha ucciso un uomo, proprio per quella donna ed ora lo stanno cercando sia la polizia per arrestarlo, sia i familiari della vittima per vendicarsi...
Il bello, però, è che anche quando scoprono la verità i due ragazzini non si tirano indietro. Specialmente Ellis, continua a credere nella prima versione della storia e lo fa perché crede nell'amore, l'amore ideale, salvo poi doversi scontrare con la realtà dei fatti e capire che la vera essenza dell'amore, è quella di un sentimento sopravvalutato, corrotto, effimero, ma dovrà scontrarcisi piano piano, restare ferito... cadere nel fango.
In mezzo a tutto ciò il “bugiardo” Mud, sempre sporco, con quella sua unica camicetta bianca sgualcita, la pistola infilata nei pantaloni, i serpenti tatuati sull'avambraccio, e i chiodi a forma di croce sulla suola degli stivali in pelle portafortuna, diventa paradossalmente per i due amici una sorta di maestro di vita. Altro elemento spettacolare, nella sua contraddittorietà. Due ragazzini sulla via della maturazione e della crescita personale, "istruiti" da un uomo che in realtà, quella maturità non l'ha mai raggiunta, restando sempre un ragazzino, uno spirito libero, selvaggio, ingenuo anche lui, persino testardo. Un sognatore ad occhi aperti che, però, come nella celebre canzone dei Pink Floyd non ha sentito lo sparo di partenza ed è sempre lì fermo mentre gli altri hanno già cominciato a correre. Uno che insegue il sole e quello tramonta e poi risorge dietro di lui. Eppure malgrado questo, tutto funziona, risultando estremamente credibile ed emozionando ad ogni scena in cui i tre sono insieme. Poco importa se Mud sia o no un bugiardo, un criminale che nel libro di istruzioni della vita non ci ha mai capito niente. Quel che conta è ciò che Mud significa per Ellis... ciò che ha fatto, magari senza nemmeno volerlo, per lui.
E' bello vedere come un film che ti mostra tanta amarezza (anche grazie ai paesaggi desolati, poveri e sporchi del profondo sud degli Stati Uniti), quell'amarezza propria delle vite ai margini della società, l'amarezza di un uomo solo, un fallito che continua ingenuamente ad essere sognatore, l'amarezza di dei ragazzini lasciati a se stessi, riesca invece nel complesso a lasciarti in bocca un sapore dolce, piacevole.
Qualche metafora qua e là: il fiume, il fango, la ruggine,  il morso dei serpenti (stesso destino toccato a Mud prima ed Ellis poi), le perle che bisogna andare a cercare sul fondo del mare... eppure “Mud” non è essenzialmente un film poetico, è un film sincero, realistico. Tutto qua: solo la dura vita ed una bella storia, quella di persone semplici, come tante, alle prese con le loro debolezze. Bellissimo il finale, senza una risoluzione precisa, ben distante dai “lieti fini” a cui siamo abituati. Non c'è una morale, solo un bel film, magari non perfetto, magari non il migliore dell'anno, ma pur sempre un gran bel film. Forse avrebbe potuto avere le potenzialità per essere davvero straordinario, se solo avesse osato di più, se fosse stato un po' più coraggioso e spietato, ma personalmente...a questo giro, mi può bastare anche così. Io ve lo consiglio, fate voi.

Menzione particolare per l'interpretazione di tutti gli attori, non solo del già elogiato McConaughey, ma anche dei due ragazzini, capaci, malgrado la giovanissima età, di recitare soltanto con gli sguardi come sanno fare i grandi attori.

* data di uscita italiana: 5 dicembre.


Voto: 7,5





 

domenica 24 novembre 2013

"L'ora del lupo" (1968) di Ingmar Bergman


<<Un tempo la notte era fatta per dormire...già, sonni calmi e profondi e svegliarsi poi...senza terrori. Da molte sere siamo svegli fino all'alba, ma questa è l'ora peggiore. Sai come si chiama? Il popolo la chiama l'Ora del lupo, è l'ora in cui molta gente muore e molti bambini nascono, è l'ora in cui gli incubi ci assalgono e se restiamo svegli...>>
<<Abbiamo paura.>>

Oscurità completa. Soltanto qualche lampo di luce ogni tanto, poi soltanto buio, il buio della mente. Non riesci più a dormire, non riesci più a vivere. La tua è una battaglia continua, incessabile, contro il tuo passato, i tuoi rimorsi, contro il tuo futuro, le tue paure. Un vortice da cui non puoi uscire... Alma ti da la mano, prova a tirarti fuori, a salvarti, ma tu la tiri troppo forte verso di te, lei non ce la fa a resistere... adesso quel vortice risucchia anche lei...




Il sonno della ragione genera mostri...

è esattamente quello che accade in quest'opera di Ingmar Bergman. Film oscuro, onirico, inquietante, che si presenta agli occhi dello spettatore come un terrificante viaggio negli angoli più bui della mente umana, un viaggio assolutamente senza ritorno. Un film concepito come una composizione musicale, che certamente più che a raccontare una storia, mira a suscitare emozioni. La trama, infatti, è decisamente esile: è semplicemente la storia di un pittore, Johan Borg (Max Von Sydow), trasferitosi su di un'isola assieme alla moglie Alma (Liv Ullmann), in fuga dai propri incubi, dai propri fantasmi e dalle colpe del passato. E' quindi un ritratto di depressione e follia.

Nella prima parte del film vediamo il protagonista raccontare alla moglie le proprie ossessioni, mentre le mostra gli schizzi raffiguranti una serie di personaggi bizzarri che popolano i suoi incubi... I due sono poi invitati ad una festa nel castello del barone Von Merkens padrone dell'isola ed a cena la moglie scopre che gli altri invitati sono esattamente gli stessi bizzarri ed inquietanti personaggi che le ha mostrato il marito e quel castello non è altro che l'inconscio di Johan, in cui anch'essa si trova adesso a vagare. Sono maschere, non individui, fantasmi, non persone...

Vediamo poi l'amante del pittore e ci assale il dubbio se essa esista veramente o no, se sia un ricordo del passato, oppure una delle tante oscure presenze dell'inconscio del protagonista. Così assaliti da questi dubbi, da questo senso di incomprensione e straniamento arriviamo velocemente alla seconda parte della pellicola. Solo a questo punto, dopo quasi metà film compare il titolo: l'Ora del lupo. E siamo così proiettati nella camera da letto dei due protagonisti, in mezzo al buio completo smorzato soltanto dalla luce di un fiammifero.

<<Questo silenzio opprime la mente, sembra una cosa irreale, neanche il mare si sente, una pace tremenda...non è vero?>>
<<Stai piangendo?>>
<<Non piango, penso al bambino...e a questa silenziosa oscurità, come se non dovesse più far giorno...>>

Da lì in avanti assistiamo così all'inarrestabile sprofondare di Johan nella propria follia E precipitando trascina con sé la moglie Alma, anch'essa ormai preda delle sue stesse paure ed ossessioni. E non c'è via di scampo, se non la morte...

<<Non capisco più niente, non so più che cosa sei, ho solo paura...credi che voglia restare qui e forse finire uccisa, credi davvero che ci tenga a vederti correre dietro quella donna e parlare con i fantasmi?>>


L'approccio al film non è certo semplice, ma andando avanti, si rimane pienamente coinvolti e difficilmente riusciamo a togliere gli occhi dallo schermo, pur sentendoci il cuore in palpitazione. L'uso eccellente delle musiche, dei vari suoni e rumori e di uno splendido bianco e nero (dove domina il nero e per il bianco c'è davvero poco spazio), permettono al regista di creare un crescendo di tensione, che culmina con gli straordinari venti minuti finali, che sono la chiara dimostrazione del suo estro visionario, della sua innegabile maestria nel tradurre le emozioni in immagini. Malgrado le atmosfere in bilico tra l'horror e il thriller, però, il film è ben altro e si inserisce benissimo nella filmografia del maestro svedese.
Le tematiche, infatti, sono le stesse di molti altri film: la fragilità dell'uomo, la sua difficoltà nel mettere a freno le pulsioni dell'inconscio, l'incomunicabilità tra due amanti, l'amore non più corrisposto, la solitudine, la condizione degli artisti che più di ogni altro tendono ad emarginarsi e sprofondare nella depressione. Pochi registi, sono stati così abili come Bergman nel raccontare le debolezze dell'animo umano. Qui però, il maestro svedese, compie un passo ulteriore, sconfinando nei territori del surrealismo, contornando le sue riflessioni filosofiche con immagini di straordinaria e disarmante potenza visiva. Girato subito dopo il capolavoro “Persona”, questo film è probabilmente la sua opera più sperimentale, atipica, decisamente all'avanguardia per il tempo in cui è stata realizzata ed ancora oggi, a più di quarant'anni di distanza, mantiene intatta la propria modernità. Non capisco pertanto come possa essere considerata un'opera minore...

Cosa manca, mi chiedo, ad un film del genere? Perfetto nella forma (grazie alla splendida fotografia di Sven Nykvist, in grado di rendere le ombre ancora più inquietanti ), ed allo stesso tempo decisamente denso di contenuti e spunti di riflessione.
Pertanto, rapportandosi agli anni in cui è stato girato ed ai mezzi a disposizione a quel tempo, penso che ben pochi registi sarebbero riusciti a descrivere così bene in immagini l'effetto devastante che può avere la mente sull'uomo. Guardare questo film è come ritrovarsi a correre dentro un tunnel buio, in fuga dalle nostre peggiori paure...senza mai vedere la luce.


<<Grazie a voi io ho raggiunto il limite...lo specchio si è spezzato, ma... cosa riflettono i frantumi?>>




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