..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

martedì 27 agosto 2013

"Beasts of the southern wild" di Benh Zeitlin (2012)

"So di essere un piccolo pezzo di un grande, grande universo, perfettamente incastrato nel resto...
L'intero universo è fatto di tanti piccoli pezzi incastrati insieme. Se un pezzetto si rompe, anche il più piccolo, l'intero universo cade in pezzi…"





Beasts of the southern wild”, lungometraggio d'esordio (ripeto: D'ESORDIO!!) di Benh Zeitlin, uscito quest'anno al cinema, dopo aver trionfato al Sundance film Festival, aver vinto la Camera d'or a Cannes nella categoria “Un Certain Regard” (ed essersi guadagnato anche diverse nomination agli oscar), è l'ennesima dimostrazione di come anche con un budget ridotto ed attori non professionisti è possibile creare un'opera di innegabile bellezza.

Il film che si configura come un “romanzo di formazione”, in pratica è la storia di Hushpuppy, una bambina afroamericana di 6 anni che vive in piena povertà in una zona della Lousiana che sta per essere inondata, chiamata la “Grande Vasca” insieme al padre malato e morente. La sua è una lotta per la sopravvivenza, una continua ricerca di un modo per cavarsela da sola in un mondo sempre più ostile. Hushpuppy non può permettersi di restare indifesa, deve crescere al più presto, diventare velocemente adulta.

L'inizio del film è da favola. Anzi, da brividi. Sin dai primi frangenti è una meraviglia per gli occhi e per l'anima, ma è il solo il buongiorno che si vede al mattino di una pellicola che sarà eccezionale per tutti i suoi 90' di durata. Le primi immagini ci proiettano subito in un altro mondo (sembra l'Africa centrale ed invece siamo nel profondo sud degli Stati Uniti, sul delta del Mississippi in Louisiana)... e così accompagnati dai monologhi fuori campo della piccola protagonista e dal rumore dei battiti del cuore degli animali che Hushpuppy ama ascoltare, iniziamo il nostro viaggio che ci porterà a intimo contatto con la natura e con un'umanità che, pur vivendo emarginata, è costretta a conservare la speranza per continuare a lottare per la vita. Se non bastasse, presto si passa dalla dimensione realistica a quella mitologica, quasi onirica... dal nulla entriamo nell'immaginazione della piccola e così compaiono i ghiacciai che si sciolgono e bestie feroci che marciano... e si resta indifesi, ma stupefatti.

Centrale, ovviamente, è il rapporto padre-figlia, sviscerato in tutti i suoi lati positivi e negativi. Hushpuppy cresce seguendo gli insegnamenti del papà, ma anche trovando la forza talvolta di fare di testa sua. Tra i due protagonisti, però, non c'è mai una scena banale.

E comprensibilmente, in un film del genere non manca la malinconia, ma non è di quella angosciante, straziante... al contrario, è una malinconia che fa solo da sottofondo al nostro percorso all'interno del film, che Behn Zeitlin ci trascina a compiere, insieme alla protagonista: una sorta di viaggio spirituale, al termine del quale non possiamo non sentirci in qualche modo arricchiti.

Per tutto il film siamo in mezzo agli alberi ed alla miseria, all'acqua e alla sofferenza fisica, alla sporcizia e alla fame, al fango e alle lacrime, a baracche di legno e vecchi indumenti sgualciti... Ed il bello è che i ricchi Stati Uniti d'America sono soltanto a poche miglia di distanza, al di là del cemento della diga. Sembra quasi impossibile... Ma il regista non calca la mano. La sua telecamera, spesso all'altezza degli occhi della bambina, si limita ad esplorare quei luoghi, in maniera quasi timida come se non volesse disturbare, se in qualche modo avesse paura. Si limita a raccontarci le emozioni per immagini... (e sapete bene che è proprio quello che prediligo in un film).

Alcune sequenze sono da 'pelle d'oca': in primis quella dell'uragano, dove la forza distruttiva della natura sia schianta sul riparo in legno dei protagonisti. Le sensazioni si mischiano: c'è il timore negli occhi della bambina, c'è la quasi follia del padre che si mette a sparare al cielo gridando contro la natura ed ancora una volta ci ritroviamo persi un'altra dimensione con l'improvvisa comparsa delle zanne di una creatura preistorica. Quando riapriamo gli occhi, tutto è allagato...e ai due protagonisti non resta che una barca come abitazione... (solo per citare una delle scene più emozionanti)...ma quella non è la fine. Niente è perduto, bisogna soltanto farsi forza, stringere i denti, gridare e ripartire con una forza vitale ancora più grande. Dopo quell'uragano si assiste così progressivamente al risorgere di una comunità, che non ha certo intenzione di arrendersi e smettere di vivere. E quell'energia, nelle feste, nei canti degli ubriachi, finisce per contagiarsi, rendendo il coinvolgimento spettatore-film sempre più potente.

Da brividi anche le sequenze dedicate a quella madre che vive soltanto nel ricordo del padre e nell'immaginazione della piccola. Quando compare sullo schermo, la mamma, sempre inquadrata di schiena, senza mostrarne il volto, dona inevitabilmente luce alle immagini...

E' un film che prosegue sui binari del ciclo della natura, senza risparmiarci la malattia o la morte, ma mostrandoci la vita in tutte le sue più disparate forme, senza nasconderci la disperazione, ma trasmettendo al contempo un immenso messaggio di speranza...
Una bella fiaba contemporanea che sa come aprirti il torace e stringerti in cuore...

Così, senza svelare nient'altro della trama, dico solo che una volta giunti ai titoli di coda non si può che applaudire il trentenne Benh Zeitlin, perché in questa pellicola non c'è quasi niente di sbagliato. Storia originale e coinvolgente, sceneggiatura impeccabile, fotografia di grande livello, colonna sonora perfetta capace di suscitare le giuste emozioni al momento giusto! Non resta che chiederci quale dannato gioco di prestigio sia riuscito a compiere il regista, per donare all'opera un'atmosfera così magica, senza costosi effetti speciali.

E' certo che di talento ne ha da vendere e da lui non possiamo che aspettarci grandi cose in futuro. Ma non deve lasciarsi intrappolare da Hollywood dopo questo inaspettato successo e le nomination agli oscars... 
In ogni caso, per ora possiamo soltanto ringraziarlo per un film così.


Consiglio: guardatelo in lingua originale con i sottotitoli per un' immersione più completa.









lunedì 26 agosto 2013

"In Trance" di Danny Boyle (2013)

In Trance” di Danny Boyle (il regista di uno dei maggiori cult degli ultimi 20 anni, ovvero “Trainspotting”) è stata la mia più grande delusione di questi ultimi giorni di Estate del 2013. Il film del regista di Manchester (in uscita nelle sale italiane il prossimo 29 Agosto), infatti, ha una pecca enorme: non è coinvolgente e per un thriller il coinvolgimento è essenziale. Qui, invece, dopo un ottimo inizio, scandito da un montaggio frenetico ed una colonna sonora di sicuro impatto, che senza dubbio cattura lo spettatore, il pathos va poi progressivamente ad esaurirsi, al punto da non poter restare soddisfatti a fine visione.
Sia chiaro: non è certo un film pessimo, quelli sono altri... denota una grandissima tecnica, la fotografia è splendida e gli attori sono davvero convincenti, specialmente James McAvoy, autore di una performance davvero intensa, ma non basta... perché il problema risiede nella sceneggiatura. Troppo prevedibile e con alcuni “buchi” che non possono non infastidire.
Peccato, perché la trama prometteva veramente bene: Simon (McAvoy), che lavora per una prestigiosa galleria d'arte, è il complice dall'interno, di una banda di criminali capitanata da Frank (vincent Cassel) che ha progettato il furto durante un'asta di un capolavoro di Goya, “Le streghe in aria”. La rapina fila liscia, tranne per il fatto che Simon, dopo aver subito un violento colpo alla testa, perde i sensi... e si dimentica dove ha messo il quadro! La banda, così, dopo aver appurato l'effettiva perdita della memoria da parte di Simon (che non confessa nemmeno sotto terribili torture) decide di ricorrere all'aiuto di un'affermata ipnoterapeuta (Rosario Dawson, la cui sensualità esotica in questo film è pienamente valorizzata), per provare ad accedere agli angoli più nascosti della mente di Simon, in modo da fargli recuperare il ricordo di dove diavolo ha messo quel quadro. La “Trance” che da il titolo al film, infatti, è proprio quello stato di coscienza alterato, con insensibilità agli stimoli esterni e dissociazione psichica in cui si trova un individuo sottoposto ad ipnosi...

Da questa interessante situazione, si sviluppa il film, che comprensibilmente procede su due binari: quello della realtà e quello confusionario della trance, che continuamente si intrecciano, si mischiano tra loro, confondendosi. E qui sta uno dei pregi: la capacità del regista di disorientare lo spettatore, creando quella perenne situazione di dubbio in cui ci si domanda se stiamo assistendo alle proiezioni dell'inconscio di Simon durante la trance, oppure al mondo reale. In questo, il tentativo di Boyle di indagare uno stato di coscienza così complesso è ammirevole. Ma i risultati, purtroppo, non sono buoni. Nella confusione che si genera il film perde di interesse e soprattutto, con l'andare avanti della trama, diventa sempre più prevedibile. Ed un thriller, se accade questo, è da considerarsi non riuscito a pieno, c'è poco da fare.

Le scene d'azione sono ottime, così come quelle erotiche... ma è proprio l'aspetto di giallo che viene meno. Risulta essere più un film di azione, quindi, piuttosto che un giallo e non penso che quello fosse l'intento del regista. Soltanto sul finale, dopo la 'soluzione del caso' il film riacquista spessore, con un'ultima scena davvero interessante che ci pone il quesito: <<E' meglio ricordare o dimenticare?>> che mi ha ricordato molto da vicino il finale di Shutter Island: <<Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene? >>. Il problema è che tale tematica, che nascondeva un enorme potenziale intrinseco, sino a quel momento, non è mai stata approfondita a sufficienza.

Resta perciò un grande rammarico, perché un tema affascinante come quello dell'ipnosi in mano ad un regista del calibro di Danny Boyle, poteva davvero diventare un cult indimenticabile, ed invece resta un thrillerino privo di personalità, che si può guardare se non c'è niente di meglio, ma che si dimentica facilmente. Una bella occasione, amaramente sprecata.

Voto: 6-, molto generoso.


P.S: il coraggiosissimo nudo integrale della Dawson, in cui praticamente si vede tutto, non me l'aspettavo proprio. 


mercoledì 21 agosto 2013

"Il sospetto" di Thomas Vinterberg (2012)

Odi et amo.

Il sospetto” di Thomas Vinterberg è un film immenso. Nel senso che è immensamente potente. Immensamente bello. Scritto immensamente bene. Fotografato alla perfezione. Con una prova immensa dell'attore protagonista Mads Mikkelsen che non per niente ha vinto il premio come migliore attore a Cannes.
Lo dico con sicurezza: uno dei film più belli che abbia mai visto in vita mia. ED E' IL FILM CHE PIU' HO ODIATO. L'ho odiato in ogni singolo fotogramma, in ogni singola scena, in ogni singolo dialogo. L'ho odiato si. Perché è perfetto, perché è realistico. Perché ha il coraggio di mostrarci una realtà che forse è accaduta, accade ed accadrà, da qualche parte del mondo. Perché siamo umani, perché questa è la nostra natura. E lo fa senza fronzoli, senza poesia. Senza vie di fuga. Una storia inventata ma pienamente vera, dove non c'è il minimo spazio per l'immaginazione. E così ti ci ritrovi immerso, al punto di affogare, senti quella storia vicinissima, soffri.

Tutto è perfetto. A livello artistico si tratta di un'opera ineccepibile.
Ma io quella realtà non la volevo vedere.

Maledetto il giorno che mi sono convinto a vedere questo film straordinario. Maledetto il giorno in cui ho dato ascolto alle recensioni entusiastiche. Maledetto il giorno in cui ho dimenticato la mia sensibilità.
O forse: Benedetto il giorno che mi sono convinto a vederlo, a trovarne il coraggio.

Si, stanno così le cose. Non posso pentirmi di aver visto un film di una potenza così folgorante.
Un film che lascia senza fiato.

Perché si parla di un terribile sospetto infondato che rovina la vita di un uomo per bene, a cui non crede più nessuno. Un ottimo maestro d'asilo accusato di pedofilia. Noi spettatori sappiamo che è innocente, ne abbiamo la certezza, ma agli occhi di tutti diventa un pervertito per una menzogna inventata da una bambina, la figlia del suo migliore amico. E quel sospetto diventa una condanna senza scampo. Una condanna a vita. Si perché nonostante non abbia fatto niente e venga dichiarato innocente, nonostante non sia arrestato perché il crimine non c'è stato, resterà sempre colpevole di fronte agli occhi della gente. Ci sarà sempre chi dubiterà di lui, anche tra quelli che un tempo erano suoi amici.

I bambini non mentono” si dice e nessuno così gli crede. Si consuma così il terribile dramma di un uomo e di suo figlio, la cui vita non sarà più la stessa. Almeno non lì. Non in quel paese dove sono cresciuti e che un tempo consideravano casa.

E così ci si incazza nel vedere questo film e ci si sente impotenti, si vorrebbe essere lì dentro la pellicola a provare a spiegare a tutti che Lukas è innocente. Urlarglielo. Magari prendere a schiaffi qualcuno. Si, volevo entrare dentro il film ed urlare. E quando un regista riesce a creare questo, vuol dire che ha fatto qualcosa di grandioso. Si resta senza respirare, perché non c'è proprio un minimo di ossigeno, un minimo bagliore di luce. C'è chi lo ha accostato a Dogville, ma diavolo, in Dogville alla fine vengono uccisi tutti. E godiamo di santa ragione.
Qui no. Soffriamo e basta. E' estremamente emozionante ma le emozioni sono tutte negative, ed io un film così non lo concepisco, mi dispiace. Ho bisogno di quella “grotta magica” quando Melancholia sta per scontrarsi e qui non c'è. E non mi basta la bellissima scena dell'amico che si decide alla fine a credergli, dopo aver sempre avuto un qualche dubbio. E non mi basta la splendida figura del figlio, l'unico a non dubitare mai del padre. E non mi bastano le tante altre scene di una bellezza disarmante, come quella, in primis, di Lucas che alla fine prende in braccio la bambina che l'ha accusato ingiustamente (perché lui non l'ha mai condannata, l'ha sempre compresa.)
Non mi basta, perché c'è troppa cattiveria...e troppa poca speranza.

Ma è un film straordinario. Niente da aggiungere. Se dovessi dargli un voto non potrei non dargli un 10 pieno per intenderci, pur essendo l'opposto del cinema che piace a me. Spietato, crudele, ma davvero grandioso. E lo sto amando alla follia, pur odiandolo con tutto me stesso.









(come vi siete accorti è la recensione più “di pancia” che abbia scritto sinora. Non so nemmeno se poterla chiamare recensione. Chiamatelo commento... chiamatelo racconto di uno stato di uno stato d'animo. )

martedì 20 agosto 2013

"Toto le héros - Un eroe di fine millennio" di Jaco Van Dormael (1990)

"Cosa sei diventato in tutto questo tempo?
Non lo so. Forse quello che non ho mai voluto essere."

“Toto le Héros – Un eroe di fine millennio” è il primo straordinario lungometraggio del regista belga Jaco Van Dormael, l'autore del più recente “Mr Nobody”.
Si tratta anche in questo caso di un'opera estremamente particolare e stravagante, che sfugge ad ogni classificazione, caratterizzata da un'estrema freschezza, nella quale già si trovano tutte le cifre stilistiche e le tematiche che caratterizzeranno anche i due successivi film dell'autore.
Anche questa pellicola è caratterizzata da un intreccio complesso, visto che la narrazione fluttua tra i ricordi dell'anziano protagonista, con quella continua commistione tra realtà ed immaginazione, ma nonostante questo l'atmosfera risulta sempre di una leggerezza incredibile, quasi magica.

L'inizio è criptico: le prime sequenze infatti ci mostrano l'omicidio di un anziano signore ed il trasporto del corpo dentro un sacco bianco per eseguire l'autopsia. Poi compare la figura del singolare protagonista, Thomas, un altro vecchio alquanto bizzarro che vive in un ospedale psichiatrico, ossessionato dal desiderio di uccidere un certo Alfred che in seguito scopriamo essere il suo vicino di casa quando era bambino.
Il motivo di questo odio? Semplice: (si fa per dire) Thomas sin da piccolo ha vissuto con la convinzione di essere stato scambiato quando era ancora in culla, proprio con Alfred, a causa di un incendio nell'ospedale e di aver quindi vissuto nella famiglia sbagliata. Non si sa se questa idea derivi soltanto dall'invidia nei confronti di quello che era il bambino più ricco del paese, oppure sia dovuto ad altro. Thomas dice di ricordare esattamente l'incendio... sarà vero? sinceramente, alla fine, procedendo con la visione non ce ne interessiamo neppure...

La forza del film, infatti, sta nel modo in cui Van Dormael ci fa ripercorrere la vita del protagonista, in tre età diverse, l'infanzia, la maturità, la vecchiaia, anche stavolta andando avanti ed indietro nel tempo. Non si fa altro che seguire il flusso di coscienza del protagonista, trasportati da una colonna sonora azzeccata per ogni situazione. E la maestria del regista è tale da farci avvertire il Tempo, come in Mr Nobody, non come un entità pesante, ma leggera, quasi priva di consistenza. Con il tempo ci possiamo giocare e possiamo farci quel che ci pare grazie all'immaginazione.

E così anche qui il film scorre leggero fino al finale in cui scopriamo il responsabile e le motivazioni di quell'omicidio iniziale. Nel mezzo tra il prologo e l'epilogo, però, c'è un intera vita, un'immensità di emozioni.

La parte più splendida è quella dedicata all'Infanzia, come ci si dovrebbe aspettare da un tizio che prima di mettersi a fare il regista faceva il clown e l'animatore per bambini. Questa parte, che scorre veloce sulle note della canzoncina “Boum” che il padre intonava al pianoforte, è piena di allegria e malinconia allo stesso tempo, ci si commuove, ma al contempo si sorride e spesso si arriva anche a ridere. Vediamo la storia (la vita) con gli occhi di un bambino e ci sembra quasi una fiaba. Così ci emozioniamo tantissimo nelle scene che ritraggono lo splendido rapporto del protagonista Thomas (il nostro Toto, soprannominato dagli altri bambini “patata lessa”) da una parte con il fratello down di nome Celestino, dall'altra parte quello con l'estroversa ed enigmatica sorella Alice. Personaggio bizzarro al punto da andare a minacciare la statua della Madonna in chiesa con il pugno teso per far si che esaudisca i suoi desideri. Tra Thomas e Alice c'è un sentimento che non può che essere definito amore. Le scene tra loro due sono una più bella dell'altra e malgrado l'apparenza incestuosa, sono di tale tenerezza, da non farci mai avere il dubbio se fare o meno il tifo per loro.

Nella stagione della vita successiva, troviamo un Toto diventato adulto che però conserva ancora un animo da bambino, pieno di insicurezze. E così lo vediamo innamorarsi di una donna sposata di nome Evelyn, con la quale stringe un rapporto molto simile a quello avuto con la sorella, dove nuovamente si raggiungono vertici di poesia...

Quello che abbiamo di fronte altro non è che un uomo comune, uno che come tanti nella vita ha collezionato errori, ha detto le parole sbagliate al momento sbagliato, è salito su treni su cui non sarebbe mai dovuto salire. Ma è questo che lo rende così vicino a noi...

In ogni caso, non voglio svelare altro sulla trama... Fidatevi, è un film splendido, emozionante come pochi, con, per di più, una fotografia di bellezza cristallina ed una regia che denota un enorme talento ed una grande inventiva.


Specialmente se avete visto Mr. Nobody e come me lo avete adorato, non potete non amare anche questa piccola storia dell'eroe Toto... indubbiamente un altro gioiello da recuperare!


*curiosità: proprio come Mr Nobody Toto le héros richiese dieci anni di lavoro dal momento che Van Dormael riscrisse il copione almeno otto volte.


lunedì 19 agosto 2013

"The Elephant man" di David Lynch (1980)

"Io non credevo che l'orco sarebbe mai riuscito ad uscire dalla prigione sotterranea"


John Merricke nella stanza in cui è costretto a vivere, senza poter uscire, sta costruendo il modellino di una cattedrale, osservandola dalla sua finestra. Il bello è che di quella cattedrale, dalla sua camera, riesce a vedere soltanto la punta del campanile. Questo, però, non lo ferma e così costruisce anche tutto il resto, lavorando soltanto di pura immaginazione. E crea un modello straordinario, poco importa se in realtà, sotto quel campanile, la vera cattedrale è ben diversa da come lui la sta costruendo. Quello è il modo in cui la immagina, in cui la vorrebbe... Difficile trovare un escamotage migliore, per tradurre in immagini, il potere dell'immaginazione. Ed ancora più difficile trovare un immagine più potente di questa per dirci come John Merricke, sotto quell'aspetto mostruoso, sia in realtà pienamente umano.

Ecco, soltanto per una sequenza come questa, così potente in tutta la sua intensità poetica, “The elephant man” si distingue dalla stragrande maggioranza di film biografici ispirati a storie vere.
La sua forza sta proprio nelle immagini. Come quella iniziale, inquietante, puramente “lynchiana” di una donna che grida a terra, con un elefante in preda all'ira che si erge di fronte a lei, splendida sequenza che altro non è che un incubo del protagonista, un uomo deforme, che ogni volta che veniva presentato nei terribili freak show, doveva ascoltare la falsa storia di come egli fosse nato da una giovane ragazza che mentre era in gravidanza era stata assalita da un elefante. E lui se ne convince, fino a sognarlo, nelle sue notti tempestate da incubi.

Oppure le tante sequenze in cui lo stesso John Merricke guarda con occhi sognanti e pieni di amore, la fotografia della madre, della quale ha soltanto ricordi sfumati, domandandosi perché da una donna così bella è nato un mostro come lui. “La gente ha paura di quello che non riesce a capire… ma vede, faccio fatica anch’io a capire… mia madre era bellissima”
O ancora il suo sguardo, mentre assiste, nella parte finale del film alla rappresentazione teatrale, con le immagini dello spettacolo che si sovrappongono in dissolvenza a quelle del suo volto, dando l'impressione di essere in un altro mondo, magico, ben lontano dalla sofferenza di tutti i giorni e trasmettendo bene l'idea di come in quel momento “l'uomo elefante” si deve essere sentito, proprio come se fosse stato finalmente in un altro pianeta, un pianeta felice.



Ma chi era l'uomo elefante? All'anagrafe John Merricke, uomo realmente vissuto nell'Inghilterra vittoriana, affetto dalla nascita da una terribile malattia congenita, (la sindrome di Proteo, molto simile alla neurofibromatosi) che lo rendeva estremamente deforme per via delle presenza di innumerevoli tumori cutanei ed ossei. L'aspetto grottesco a cui lo costringeva la malattia, gli impedì di trovare un lavoro ed un posto nella società e così fu ingaggiato da un presentatore dei cosiddetti “freak show” per farne di lui uno dei tanti fenomeni da baraccone.
La sua vita fu quindi un continuo di umiliazioni e maltrattamenti, fino a quando non si interessò di lui il medico Frederick Treves (interpretato nel film da Anthony Hopkins) che riuscì a scorgere, sotto quell'aspetto mostruoso, una nobile umanità...
Il film racconta di questo, dal momento in cui per la prima volta Treves incontrò Merricke, e quindi lo svilupparsi del loro rapporto e di come il dottor Treves divenne per John, non solo un medico fidato, ma anche un amico ed in un certo senso un padre, cercando di restituirgli quella dignità umana di cui era stato privato... Una riflessione sul tema della diversità, inserita in un preciso contesto storico e sociale.


A questi punti, però, sono costretto ad ammetterlo: non amo particolarmente i film ispirati a storie vere e soprattutto non amo i film da cui fuoriesce una morale, una distinzione precisa tra buoni e cattivi, ma su questo film (l'ultimo che visto della filmografia di David Lynch), i miei pregiudizi erano completamente sbagliati. Questo film è diverso.
Quando ti trovi a dover fare un film su una storia già di per sé bellissima e commovente il rischio maggiore è proprio quello di creare un film che sia una lagna, melenso e privo di personalità. “The elephant man” invece, grazie alla regia impeccabile, alle splendide trovate visive, ad un bianco e nero perfetto per ricreare l'atmosfera della Londra di fine diciannovesimo secolo, alla colonna sonora bellissima che accompagna le immagini, evidenziandone il pathos, diventa un film che brilla di luce propria, che riesce a coinvolgere emotivamente lo spettatore, senza mai abbandonarsi al sentimentalismo gratuito.

Come tutti gli altri film di Lynch, anche questo, infatti, è essenzialmente un film di atmosfera... che più che raccontare una storia, punta a suscitare emozioni. Un'opera poetica ed intensa.
Sicuramente meno irrazionale e personale degli altri suoi film, visto che il soggetto gli era stato dato da Mel Brooks (che era rimasto estasiato dalla visione di Eraserhead) con tanto di sceneggiatura già abbozzata, ma nonostante una trama che non gli permettesse di inventare chi sa cosa, il giovane pittore David Lynch ce l'ha comunque fatta a darle il proprio tocco.

Ne è nato così un film che “stranamente” appare accessibile per tutti, sicuramente il più fruibile dalla massa tra tutte le opere di Lynch, ma che al contempo non può deludere nemmeno i più accaniti fan del regista.
Lo ammetto: io preferisco il Lynch più recente, quello degli ipnotici e controversi “Strade Perdute”, “Mullholland Dr.” ed “Inland Empire”, ma sono rimasto altrettanto affascinato anche da questa opera.

L'unico difetto è che fuoriesce una sorta di “morale”. Il film sembra chiederci per tutta la sua durata : << Chi è il vero mostro? L'uomo deforme e tutta quella triste umanità che gli sta attorno, che lo umilia e lo emargina? >> Lo ripeto, di solito non amo i film così didascalici che tracciano una così netta linea di demarcazione tra buoni e cattivi, ma stavolta forse era veramente inevitabile.
Ciò che conta è la magia che pervade l'intera pellicola, quell'emozione che cresce, in maniera progressiva, senza mai arrestarsi dall'inizio alla fine, quel coinvolgimento che non viene mai meno, sino allo splendido finale, di una profondità davvero rara.
E non ci annoia mai e non ci si allontana mai da quella Londra sporca e cupa di fine '800. E soprattutto non smettiamo mai di sentirci, in qualche modo, tutti, un po' uomini elefanti...





martedì 13 agosto 2013

"I'm here" di Spike Jonze (2010)

<< Cosa stai sognando? >>
<< Cosa intendi? Io non posso sognare. >>
<< Ma certo che puoi farlo. Devi solo volerlo fortemente. >>
 

 Splendido. Splendido. Splendido.

Lo ammetto...sono arrivato decisamente tardi perché questo mediometraggio scaturito dalla fantasiosa mente di Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, Nel paese delle creature selvagge) è uscito nel 2010, sponsorizzato dalla Absolut Vodka.
Ma al di là di ciò, non ho potuto resistere a dedicargli un intervento su questo blog.

Perché di rado si incontra un qualcosa di così bello e così intenso in tutta la sua leggerezza, semplicità e sensibilità.
Non una semplice storia d'amore. Per quanto mi riguarda, la storia d'amore più originale e deliziosa che abbia visto dai tempi di “Eternal sunshine of the spotless mind...” Il tutto condensato in 30 minuti di splendore, estremamente intensi, accompagnati da una colonna sonora eccezionale.



Siamo in un mondo in cui i robot convivono con gli essere umani, vanno al lavoro, girano in macchina con la musica a tutto volume, vanno ai concerti e soprattutto come gli essere umani sono in grado di provare sentimenti. Il protagonista così è proprio un buffo robot di nome Sheldon (interpretato da Andrew Garfield che gli presta corpo e voce), che fatta eccezione per quella scatola dalle fattezze di vecchio computer che si ritrova al posto della testa, ha tutti i connotati per essere considerato uno come tanti, un tipo ordinario, un po' introverso ed imbranato, che di mestiere fa il bibliotecario e vive la sua routine senza troppi alti ne bassi. Ma i suoi occhioni tristi e sognanti bucano sin da subito lo schermo, forse meglio di quanto qualsiasi attore in carne ed ossa avrebbe potuto fare. (e non è semplice rendere un robot così tanto 'umano', così vero).
Questo mediometraggio di 30 minuti, per me, ha tutto ciò che rende un opera filmica straordinaria... immagini dal grosso impatto visivo, una bellissima storia, malgrado la sua estrema semplicità, e quell'atmosfera malinconica che rende il tutto più magico ed al tempo stesso più reale.

Si, perché malgrado i protagonisti insoliti, che danno quel leggero tocco di surrealismo, ciò che ci troviamo di fronte agli occhi risulta pienamente reale, sincero, vero!
Per questo motivo è difficile non restare coinvolti ed allo stesso tempo affascinati.
Con me forse è più facile fare centro, essendo il sottoscritto un inguaribile romantico, ma dubito che questo 'filmino' possa risultare freddo anche a chi di sensibilità non ne ha certo da vendere.
Sinceramente non so nemmeno come Spike Jonze sia riuscito a creare questa magia, quali sono le scelte che hanno reso questo cortometraggio così pieno di poesia.
Quei 30 minuti volano in piena leggerezza, commuovendo, emozionando...
Già l'incipit è straordinario... con lo sguardo di Sheldon perso fuori dal finestrino dell'autobus che vale più di molte parole... Si capisce che avrebbe soltanto bisogno di qualcuno con cui condividere emozioni e bei momenti.
Lo ritroviamo così più tardi con quel suo sguardo sognante a fissare un aereo che vola alto nel cielo, con la speranza, in quel momento irrealizzabile, di essere lui sul quell'aereoplano diretto non si sa dove, basta da qualche altra parte, per fuggire da una quotidianità dove non sembra esserci spazio per la felicità, ma solo per la malinconia...per quel triste senso di insoddisfazione e di incompletezza.
Questo è lo scenario iniziale, che puntualmente cambia con l'arrivo di lei, un'altra robottina, che a differenza di lui appare più esuberante ed estroversa. Per Sheldon, lei rappresenta proprio quell'aereoplano con cui mandare a farsi fottere la solitudine e partire verso un viaggio che ridia senso a tutto...

Da lì in poi si dipana una storia toccante ed a sprazzi tristissima che pone l'accento sulla bellezza del “donarsi agli altri per amore, senza chiedere niente in cambio”. Tutto questo, senza quel buonismo fastidioso e quella retorica che abbonda in molti film... qui è tutto più genuino. E magico. Scusatemi se insisto su questa parola... ma questa è la sensazione.
La scena di loro due nel bosco è sensazionale. Vuoi per la bellissima fotografia, vuoi per la perfetta canzone di sottofondo... ma è soltanto una delle tante che compongono questo gioiello. Poesia che non ha bisogno di versi, ma solo di immagini. Peccato quindi che duri così poco (anche se in questo sta forse la sua grandezza).



Se come me ve lo siete perso, recuperatelo per favore. Fatelo per il vostro bene. ;-)





sabato 10 agosto 2013

"Mr. NOBODY" di Jaco Van Dormael (2009)

Fra tutte queste vite, qual è quella giusta?”
“Ognuna di queste vite è quella giusta. Ogni sentiero è il sentiero giusto. Ogni cosa potrebbe essere qualsiasi altra e avrebbe comunque senso...”

Chi non si è mai domandato come sarebbe andata la sua vita se avesse fatto scelte diverse? Magari cambiando un piccolo particolare, un minimo dettaglio apparentemente inutile? Chi non ha mai sperato di poter tornare indietro per provare a prendere altre decisioni e vedere dove lo avrebbero portato? Generazioni di filosofi, artisti, scrittori sono state affascinate da questa tematica... L'uomo, del resto, come diceva Kierkegard è frutto delle proprie scelte... oppure è il caso che decide per noi? Quanto le piccole scelte degli altri condizionano anche la nostra vita? Quanto il nostro vissuto dipende da noi?
La verità è che sono tutte tematiche complesse, a cui forse nessuno riuscirà mai a dare una risposta... Il bello sta proprio nel porsi queste domande, nell'immergersi in questo caos... E' ciò che ha provato a fare Jaco Van Dormael, con questo film del 2009, “Mr Nobody”, anch'esso semisconosciuto in Italia, perché non ha mai raggiunto le nostre sale, malgrado i tanti premi vinti a giro per il mondo. Devo ammettere che anch'io l'ho scoperto tardissimo, ma è stata una visione folgorante, di quelle che ti catturano, in maniera piacevole e mai angosciante, malgrado l'atmosfera malinconica che si respira per tutta la sua durata...

Non posso non consigliarlo vivamente, anche se con le dovute precauzioni... E' infatti un film complesso, coraggioso, sicuramente non immediato, per chi non è abituato a vedere un certo tipo di pellicole. Per alcuni, abituati ad avere di fronte agli occhi una storia lineare con tutte le risposte, può risultare anche fastidioso. E' indubbiamente un'opera ambiziosa, considerando che il regista belga Jaco Van Dormael ci ha messo ben dieci anni per realizzarlo, passando giorni interi a scrivere, cancellare e riscrivere la sceneggiatura, per non parlare dell'intero anno dedicato al montaggio. Ma nonostante questo, tutto si può dire di “Mr Nobody” tranne che sia soltanto un esercizio di stile. E' un film infatti che trasuda passione ed amore per la vita.

E' il film ideale di cui scrivere, dopo aver parlato la scorsa settimana di 2046. Se 2046 era infatti una struggente descrizione dello stato di malinconia di un uomo, prigioniero dei rimpianti per le scelte compiute in passato, questo film ci dice, con toni magici ed onirici, che non esistono scelte sbagliate e scelte giuste. Ognuna ha senso... Per me è uno straordinario messaggio d'amore, dalla grandissima energia vitale.

Non è semplice parlare della trama. In sintesi, il film si apre in uno scenario fantascientifico in cui la scienza ha scoperto, attraverso il metodo della “Telomerizzazione” il modo di impedire l'invecchiamento e quindi la morte per cause naturali. Un anziano signore, Nemo Nobody, di 118 anni, sarà proprio l'ultimo essere umano a morire per cause naturali. Per questo tutte le attenzioni mediatiche sono incentrate su di lui. Un giornalista tenta quindi di intervistarlo, chiedendogli di narrare i suoi ricordi. Così comincia la narrazione di Nemo Nobody, con un bambino che si trova sulla banchina della stazione a dover decidere se prendere un treno insieme alla madre, oppure restare con il padre. Da quella sofferta e difficile decisione, comincia lo splendido viaggio nella memoria del protagonista, a partire dai primissimi ricordi della sua infanzia. Ben presto però quei ricordi sembrano confondersi e ci accorgiamo che Nemo non sta ricordando una sola vita, ma più di una. Le sue storie talvolta scorrono parallele, talvolta si intrecciano, le sue vite si moltiplicano. Per ogni difficile scelta della sua vita, l'anziano (ci) narra più di una possibilità. E queste diventano infinite... Qual è la vera vita vissuta dal protagonista? Qual è la realtà e quali ricordi sono solo frutto dell'immaginazione? Non lo sappiamo, ma ci perdiamo piacevolmente in questo vortice fatto di passato, presente, futuro, felicità, tristezza, rimpianti, speranze, amore, amicizia...
Insieme a Nemo non riviviamo soltanto i momenti della sua adolescenza, i suoi primi amori, le discussioni con i genitori, le sue crisi esistenziali, ma riviviamo innanzitutto la nostra vita. Le paure di quel bambino che non sa cosa fare, sono la proiezione delle nostre paure di fronte a qualsiasi difficile scelta a cui la vita ci obbliga. Ci identifichiamo e quindi ci emozioniamo. La visione non è mai passiva... siamo sempre spinti a ricordare... E' lì che Van Dormael ha fatto centro, creando un film capace di coinvolgere ed emozionare, senza né stancare né angosciare. Nonostante la complessità della sua architettura, infatti, la pellicola risulta decisamente leggera e scorrevole... vola via rapida, finisce che quasi non te ne sei nemmeno accorto... proprio come un treno che passa veloce e non ti da il tempo di decidere cosa fare...
La voce fuori campo del bambino è pienamente azzeccata...tutti infatti di fronte a questa opera ci sentiamo un po' bambini, ingenui, privi di sicurezze, ma con lo sguardo pieno di stupore... E' Van Dormael che prova a guardare il mondo come un bambino ed il bello è che ce lo fa guardare anche a noi nello stesso modo.


L'idea di partenza non è certo originale, è vero.... La strada delle infinite possibilità della vita è già stata battuta in altri film. L'affascinante teoria del “butterfly effect”, secondo cui il battito di ali di una farfalla in una parte del mondo, può creare effetti potentissimi da un'altra parte è stata al centro di molte altre opere artistiche, di qualità variabile. Tanti altri registi ne hanno tratto film... Lo scrittore Asimov sulla possibilità di cambiare la storia e il destino dell'umanità variando piccolissimi dettagli, ci ha scritto quel capolavoro che è “La fine dell'eternità” (il più bel libro di fantascienza che abbia mai letto), ma Van Dormael da questa idea non originale è riuscito a creare un film, diverso da tutti gli altri, con una propria personalità che lo rende unico, potentissimo e coinvolgente! Del resto, non esistono idee originali di per se, ma modi originali di esporle...


Tutto appare magico, poetico, surreale... Si, si tratta di un viaggio onirico nella memoria e nei dubbi del protagonista. Si passa dalla tenerissima storia d'amore adolescenziale tra il protagonista e Anna, alla angosciosa relazione tra Nemo ed un'altra donna scelta in un'altra vita, sulle soglie della follia, all'insoddisfazione per una vita dedicata soltanto alla ricerca del successo... ma anche questa un'altra vita fra le tante, un altro Nemo fra tutti quelli possibili... Tante storie interconnesse... sentieri che si congiungono ad altri, si fondono per poi di nuovo separarsi. Il tempo fa capriole su stesso, ritorna indietro e va da un altra parte. E mentre lo fa sembra proprio che non abbia il minimo peso. Il tempo che di solito di appare angosciante ed opprimente diventa un entità priva di consistenza, soltanto una melodia musicale, incapace di smuovere le lancette della bilancia...

Il tutto intervallato da riflessioni scientifiche... bellissime sequenze in cui lo stesso Nemo ci pone domande sulla nostra esistenza... sul perché ci innamoriamo... Si parla del big crunch, della possibilità che un giorno lo sviluppo dell'universo non tenda più al caos, ad un aumento dell'entropia, ma si inverta, restringendosi, portandosi dietro il tempo... a quel punto torneremo tutti indietro? Rivivremo all'incontro la nostra vita? Cosa accadrà veramente?

“Com'era prima del Big Bang? Be', vedete... il prima non c'era, perché prima del Big Bang il tempo non esisteva. Il tempo è il risultato dell'espansione dell'universo stesso. Ma cosa succede se il tempo smette di espandersi e il movimento si inverte? Quale sarà allora la natura del tempo? Se la teoria delle stringhe è corretta, l'universo ha nove dimensioni spaziali e una dimensione temporale. Possiamo immaginare che all'inizio tutte le dimensioni fossero collegate tra loro. Durante il Big Bang tre di queste dimensioni, conosciute come altezza, larghezza e profondità, e un'altra dimensione, che noi conosciamo come tempo, si dilatarono. Le altre sei dimensioni rimasero intrecciate tra loro. E se vivessimo in un universo ad una dimensione come distinguere l'illusione dalla realtà? Il tempo è conosciuto come una dimensione di cui viviamo l'esperienza in un'unica direzione. E se una delle altre dimensioni non fosse spaziale, ma temporale?”

oppure:

Perché il fumo delle sigarette non torna mai indietro? Perché le molecole si respingono l'una con l'altra? Perché una goccia di inchiostro non ritorna più come prima? Perché l'universo tende alla dissipazione. Questo è il principio dell'entropia. La tendenza dell'universo di evolvere il suo stato, in un caos crescente. Il principio di entropia è associato alla direzione del tempo che è il risultato di un'espansione dell'universo. Ma cosa succederebbe se la forza di gravità non fosse in grado di bilanciare la forza di espansione? O se il quantum di energia fosse troppo debole? In quel momento, il mondo può incorrere nella fase di contrazione: il Big Crunch. Allora cosa succederebbe al tempo? Andrebbe al contrario? Nessuno conosce la risposta.”

Messa così sembra davvero tanta, troppa carne sul fuoco, per creare un film che possa essere piacevole e leggero... Ed invece è proprio così.
Non nascondo che alcune sequenze le ho trovate troppo assurde, magari evitabili e lo stile forse è troppo ricercato. Troppo inquadrature virtuose, forse troppe voci fuori campo, ma sono piccole pecche di un film che merita senz'altro di essere visto. Anzi, vissuto! Un film che più che una narrazione di una storia è un'esperienza sensoriale, visiva, che ci invita a fare fare i conti con noi stessi, ma stavolta non finiamo con le lacrime agli occhi, ma con un sorriso e ci amiamo di più.

Difficile etichettarlo... non lo si può definire un film di fantascienza, così come è difficile stabilire se si tratta di una commedia oppure di un film drammatico. Ed il finale non si sa se sia un lieto fine oppure no... E' tutto ed allo stesso tempo niente, così come il suo protagonista Nemo è al contempo tutti e nessuno... Ma lo sfuggire a qualsiasi classificazione è proprio uno dei suoi maggiori pregi.

C'è chi ha considerato questo film incompleto...sinceramente, dove sta l'incompletezza? Non è mica un thriller in cui alla fine dobbiamo avere tutte le risposte... il film vuol proprio dire il contrario.
C'è chi lo considerato troppo teen drama... Bhè, da quando dare ampio spazio all'adolescenza del protagonista, significa fare un teen drama?

...“Riesco a ricordarmi di tanto tempo fa, prima della mia nascita. Ero raggruppato con quelli che ancora non erano nati. Fino a che non veniamo al mondo sappiamo tutto, tutto quello che deve ancora accadere. Quando è il tuo turno, gli angeli dell'oblio ti premono un dito sulla bocca. Con il dito ti toccano il labbro superiore. Significa che devi dimenticare tutto. Ma gli angeli mi saltarono. Poi dovetti trovare una mamma e un papà. Non è facile scegliere... “

Già per un monologo così in apertura...meriterebbe a prescindere di essere visto...

Infine, è d'obbligo concedere un grandissimo applauso va a Jared Leto, (il cantante dei 30 Seconds to Mars per intendersi) che, reggendosi l'intero film sulle spalle, ha dimostrato di essere anche un ottimo attore, interpretando un personaggio complesso e rendendolo credibile in tutte le sue sfaccettature ed in tutte le sue diverse vite.

Cosa aggiungere? Inutile dilungarmi oltre. Un film che, pur senza offrire una visione rassicurante della vita, fa venire voglia di vivere, senza rammaricarsi del passato o angosciarsi inutilmente per il futuro. Se per voi è poco...


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