“Life goes on”
Di solito quando
si pensa ad un film apocalittico, viene da pensare ad ad un
mega-blockbuster ricco di effetti speciali, azioni, battaglie con gli alieni, macchine e palazzi in fiamme ed ovviamente gli Statti uniti
che salvano il pianeta. Ecco, dimenticatevi di tutto ciò. "The
perfect sense" è un film apocalittico, fantascientifico, ma è ben
altro. Molto di più. Si tratta di una raffinatissima riflessione
sull'amore e la condizione umana, fatta con un budget ridotto, regia
minimalista, dialoghi essenziali, poche parole ma incisive.
Come in
Melancholia di Lars Von Trier, l'elemento fantascientifico è
soltanto un pretesto, sfruttato dal regista con uno scopo ben
preciso: parlare di amore, in un modo insolito, mai tentato prima. E'
innanzitutto, infatti, un film romantico, ricco di intimismo, che si
da l'obiettivo di scrutare l'animo umano, analizzarlo nelle sue più
recondite particolarità, sezionarlo in modo quasi scientifico,
metterne a luce le contraddizioni, (ma anche le infinite possibilità
di quella che è una macchina sensazionale, il nostro corpo, la
nostra mente).
E' facilmente
intuibile che tutto ciò altro non è che una metafora. Non bisogna
perciò cercare la razionalità della trama (assurda ed
irrealistica), ma vivere il film a mente libera come un esperienza
sensoriale. Ben presto ci si rende conto che tutti sensi, prima o poi
se ne andranno. L'esito finale dell'epidemia appare ineluttabile, intuiamo la paura, riflettiamo su ciò che abbiamo e che diamo per
scontato, ne avvertiamo la grandezza.
I protagonisti del
film, interpretati da un bravissimo Ewan McGregor e da una sontuosa
Eva Green (con un feeling eccezionale tra i due), sono
rispettivamente un affermato chef di Glasgow ed una epidemiologa che
sta studiando la malattia. Entrambi con un bel bagaglio di fantasmi
dentro l'animo, pensieri nascosti, paura di amare. La storia d'amore
si sviluppa in questo scenario oscuro, apocalittico. Mentre si
consuma la tragedia mondiale, senza via di scampo, anche il loro
rapporto viene sezionato dal regista, attento ad
ogni dettaglio. C'è una elevata dose di introspezione psicologica,
che fugge dagli stereotipi e dalla banalità di tante commedie
romantiche attuali. Tra di loro non si chiamano amore, si chiamano
“asshole”, sono due bastardi, ognuno con la sua dose di egoismo e
cattiveria, come tutti gli uomini, ma si amano e l'amore è l'unica
cosa che veramente ha importanza.
Di cosa possiamo
veramente fare a meno? Cosa è indispensabile? Queste sono le domande
che si pone il film...
Quando se ne va
anche l'udito, ecco la grandissima bravura di MacKenzie che è capace
di renderci tutti sordi. Anche noi, dentro il nostro animo urliamo
silenziosamente come i protagonisti del film, senza sentire nessun
suono emesso... Horror puramente psicologico anche qui.
Il tutto è
narrato con toni cupi, scenari in cui predominano il grigio, il
bianco ed il nero. Ma che bella fotografia!! L'ambientazione è
desolante, ma le musiche, le immagini, riescono a farti apprezzare la
bellezza intrinseca nell'esistenza umana, in mezzo alla disperazione.
C'è tanta tristezza, è vero, ma anche moltissima dolcezza. In
alcune sequenze si raggiungono vertici di lirismo poetico. Alcune
magari potevano essere evitate, ma è soltanto un piccolo difetto.
Tutto sommato si alternano immagini di follia, panico, violenza, alle
scene in camera da letto, molto intime, dove non c'è spazio che per
l'amore, con i suoi difetti, le sue contraddizioni. Bellissima la
voce fuori campo femminile (stranamente...) della protagonista.
L'ho avvertito come
un immenso inno alla vita, ai sentimenti che nessuna epidemia può
cancellare.
Il finale, è pura
poesia, prima del buio totale.
Non è perfetto,
la sceneggiatura non è certo impeccabile e sicuramente non è un
film per tutti, ma è senza dubbio un'opera che ti lascia dentro
qualcosa di grande. Merita eccome! Pienamente convincente!
P.s: tristemente
scandaloso il fatto che non sia stato nemmeno distribuito in
Italia...