..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

martedì 24 dicembre 2013

"Fuoco fatuo"(1963) di Louis Malle

<<Avrei voluto accattivarmi la gente, trattenerla, legarla a me, che niente mi si muovesse più attorno. Ma è andato sempre tutto per aria.>>
<<Ma tu ami la gente fino a questo punto?>>
<<Volevo tanto essere amato che mi sembra di amare.>>






Talvolta capita di imbattersi in dei film che ti riempiono, che riescono a colmare il vuoto. Che ti avvolgono, ti abbracciano, ti sorreggono, ti coccolano. Questo è l'effetto che mi ha fatto “Fuoco Fatuo” di Louis Malle sin dai primi attimi in cui mi sono abbandonato alla sua visione. Un film di una tristezza sconfinata, ma talvolta aiuta rispecchiarsi nella tristezza di un film.
Bastano alcune inquadrature, alcuni primi piani, alcune semplici note di pianoforte e ti sembra che quel film sia sempre stato tuo. Che sia sempre stato dentro di te, anche prima di vederlo... in vita mia mi è successo davvero poche volte, con “Otto e mezzo” di Fellini sicuramente e forse più di recente con “Seul contre tous” di Gaspar Noè...
Si, perché al pari di quelli sopra citati, il film di Louis Malle è un film di una potenza emotiva strabiliante. Certo può non arrivare a tutti, ne sono consapevole, ma qui non faccio recensioni “oggettive” lo sapete bene.

In scena c'è la vita. Nient'altro. La vita di un uomo che non vuol più vivere, non ce la fa più... il giorno successivo, il 23 luglio si suiciderà e non c'è dubbio che lo faccia. Lo sappiamo sin dall'inizio. Il suo girovagare senza meta, il suo incontrare amici per dei fugaci dialoghi, è finalizzato soltanto a trovare una spinta, una giustificazione dell'atto che sta per compiere.
Ed è difficile spiegare come un film, dove la morte è presente sin dalla prima scena, possa descrivere così bene la vita. Non la vita “in toto” è chiaro, ma una vita al capolinea che pur sempre vita è.

Alain Leroy, ex alcolizzato, da 4 mesi ospite in una clinica, è ormai stanco della sua esistenza. Il mondo gli è totalmente estraneo. E c'è una scena in questa ottica che appare esemplare e formidabile: Alain da solo, seduto al tavolino di un bar che si guarda attorno... la gente che passa veloce, la vita che scorre, ad una velocità doppia. Il montaggio frenetico non fa altro che sottolineare questa frattura fra Alain ed il resto del mondo, ormai non più saldabile. (http://www.youtube.com/watch?v=IwSQxlwMzr8)
Un amico prova in tutti i modi a riportarlo sulla presunta “dritta via”, lo invita ad accettare il passare del tempo, la mediocrità. Ma quella mediocrità Alain non l'accetta. Non la vuole. Lui voleva primeggiare. Soldi, belle donne, vita intensa, come un tempo... prima che cominciasse ad affogare nell'alcol tutti i suoi dubbi, le sue paure.
<<Ho cominciato ad aspettare le cose, e bevevo, poi un giorno mi sono accorto che avevo passato la vita aspettando. Le donne, i soldi, l’azione. Allora mi sono ubriacato a morte.>>

Ma adesso che ha perso pure la dipendenza, non gli è rimasto più niente....soltanto il vuoto, pesante, asfissiante. Fuori dalla clinica, si sente perso. << La vita dell'ammalato è regolata, semplice, ci si sente al sicuro. Non ho molta voglia di tornare alla vita, Parigi mi fa paura.>>... Resta soltanto un angoscia perpetua, un timore sconsiderato nei confronti della vita, del futuro, un amarezza incancellabile nei confronti del passato. Guarda quella pistola, la maneggia con cura, è la sua unica speranza rimasta. Non gli rimane altro da fare che preparare la valigia e congedarsi.
In fonod non gli bastano più le belle ragazze che gli passano attorno, non gli bastano gli amici, non gli basta la filosofia, la poesia, non gli bastano i progetti...non gli basta il sole, non gli basta l'amore.

O meglio, l'amore potrebbe bastargli... ma non è mai riuscito ad afferrarlo, non è mai riuscito a goderselo, senza quella distruttiva ansia di essere all'altezza delle donne amate, di soddisfarle...
Cosa resta ad Alain?
perché soffrire? Perché continuare a lottare quando si è già lottato a lungo e siamo ormai stanchi?

In tutto questo, la meraviglia è che il regista riesce a parlare di suicidio senza essere minimamente giudicante, senza morale ed allo stesso tempo senza voler per forza commuovere, dosando alla perfezione le luci, le parole, le musiche.
Senza mai difendere o condannare Alain. Anche perché in fondo cosa c'è da difendere o condannare?

Ciao Vita, è ora di andare. Dorothy mi dimenticherà presto.

*splendida colonna sonora di Erik Satie. 


 "Non, Vita, perché tu sei nella notte
la rapida fiammata, e non per questi
aspetti della terra e il cielo in cui
la mia tristezza orribile si placa:
ma, Vita, per le tue rose le quali
o non sono sbocciate ancora o già
disfannosi, pel tuo Desiderio
che lascia come al bimbo della favola
nella man ratta solo delle mosche,
per l'odio che portiamo ognuno al noi
del giorno prima, per l'indifferenza
di tutto ai nostri sogni più divini,
pel non potere vivere che l'attimo
al modo della pecora che bruca
pel mondo questo e quello cespo d'erba,
e ad esso si interessa unicamente,
pel rimorso che sta in fondo ad ogni
vita, d'averla inutilmente spesa,
come la feccia in fondo del bicchiere,
per la felicità grande di piangere,
per la tristezza eterna dell'Amore,
pel non sapere e l'infinito buio...
Per tutto questo amaro t'amo, Vita."
--Camillo Sbarbaro

domenica 22 dicembre 2013

"Angeli violati" (1967) di Koji Wakamatsu


Può un film che racconta un orribile fatto di cronaca, una storia di follia e violenza estrema, essere di una sconfinata raffinatezza e dolcezza? Si, può esserlo. E ce lo dimostra Koji Wakamatsu con questo splendido “Angeli violati”, film di appena 57' capace di emozionare ed incantare, grazie alla bellezza delle immagini e delle musiche.
Ispirato ad una storia vera, il film narra di un pluriomicidio: è la storia di un pazzo che entra in un dormitorio di infermiere e le uccide una per una in maniera brutale, risparmiando alla fine soltanto una ragazza. Disadattato, depresso, frustrato, incazzato con il mondo intero e soprattutto ossessionato ed intimorito dal sesso, il giovane ci viene presentato nelle prime scene del film attraverso le proiezioni della sua immaginazione: una splendida carrellata di nudi femminili in bianco e nero, labbra, occhi, gambe, piedi... Segue poi la sequenza in cui lo vediamo provare la propria pistola in riva al mare e soltanto dopo questa scena veniamo scaraventati dentro il dormitorio. Due delle infermiere stanno consumando un rapporto saffico, le altre le stanno spiando da un buco della parete. Arriva quindi il ragazzo e sono le stesse infermiere a farlo entrare, inconsapevoli dell'incubo che che si troveranno a vivere di lì a pochi minuti.
Il resto del film è un dilagare irrefrenabile della follia. Il ragazzo impazzisce e sfoga tutta la sua rabbia sulle innocenti fanciulle. Vediamo i suoi occhi pieni di ira. Entriamo nella sua testa, viviamo i suoi incubi, assaporiamo la sua misoginia, determinata dalla paura del sesso femminile, derivate probabilmente da una incapacità di soddisfare sessualmente le ragazze. Nella sua mente distorta, la donna è un mostro, un pericolo e le sequenze oniriche mostrateci da Wakamatzu in questa ottica sono perfette per farci entrare in empatia con il killer, per farci assaporare la sua fragilità.
Per una buona mezz'ora il film diventa un qualcosa di estremamente disturbante. Le urla delle ragazze, i loro occhi pieni di terrore, ci assalgono lo stomaco, ce lo stritolano... e ci troviamo così combattuti tra sentimenti di compassione, nei confronti sia delle vittime che del carnefice, e sentimenti di rabbia ed odio profondo.
Se riusciamo a resistere, però, ciò che ci aspetta è una finale di una dolcezza impressionante. In pieno stile orientale, la violenza, la brutalità, si mescolano improvvisamente alla poesia, al romanticismo. Le musiche ci trasportano in un'altra dimensione, dal bianco e nero si passa bruscamente al multicolor ed il film assume tutt'altra forma e sapore. Il killer spietato si trasforma anch'esso in un angelo violato e non lo vediamo più come carnefice, ma anche questo come fragile vittima di un mondo crudele, bisognosa soltanto di essere amata.


Fortemente criticato, condannato, proibito in quasi tutto il mondo, “Angeli violati” è a mio modo di vedere un gioiello perduto da riscoprire. Malgrado la trama esile, i pochissimi dialoghi, è una pellicola che riesce a far breccia nel cuore grazie alla bellezza delle immagini, a quelle inquadrature sugli sguardi dei protagonisti dotate di una incredibile sensibilità intrinseca. E' un film che penetra dentro, lo si sente scorrere dentro di noi con la sua potenza. Lo si vive. Punto.

sabato 14 dicembre 2013

"Oltre l'Eden" (1971) di Alain Robbe-Grillet

Oltre l'Eden... ai confini del cinema.

 Non essere. Oppure recitare. Questo è il problema. Niente sentimenti. Nessuno dei miei sentimenti esiste. Tranne quello che fingo di provare.



Un film cupo, pervaso di luce. Sembra impossibile ma è così...

Specchi che ingannano, geometrie che imprigionano, luminosità che acceca... sangue, sesso, perversioni, incubi... Menti distorte...
Scusate l'incipit criptico di questa recensione. Anzi, questa (purtroppo), non sarà una recensione, perché in tutta franchezza “Eden et apres” è un film difficilissimo da analizzare, impossibile da classificare. Non saprei nemmeno se chiamarlo “film”. Si ha l'impressione, infatti, sin dai primi attimi, di trovarsi di fronte ad un qualcosa che esula dalla definizione classica di film. Non c'è una trama precisa, non c'è sceneggiatura, dialoghi ridotti all'essenziale, quasi soltanto voce fuori campo... Un esperimento artistico, probabilmente è meglio chiamarlo così. Ma che esperimento! Straordinario lo definirei, non solo extra-ordinario. Pazzesco.

Voglio mettere le mani avanti: è una pellicola che probabilmente agli occhi di molti potrà passare come eccessivamente pretenziosa. Un gioco intellettuale. Proprio come quello dei protagonisti, che si chiudono in un edificio che sembra un quadro astratto di Mondrian, per mettersi alla prova continuamente con giochi suicidi. Roulette russe che portano alla morte, fatte così per scherzo... Avvelenamenti gratuiti, senza movente, senza sentimento... e poi si butta giù in gola la “Polvere della paura” e si precipita negli incubi (in una delle scene più allucinati e suggestive ). Direttore d'orchestra un misterioso uomo,lo “straniero” al ritorno dall'Africa. E' lui a coinvolgere i ragazzi in giochi assurdi, apparentemente (o effettivamente) senza senso... Segue un omicidio e poi un lungo trip, un sogno che prende la forma di un viaggio in Tunisia, alla ricerca di non si sa cosa... basta, non c'è da parlare di trama, perché quella conta veramente poco.
Ma non fraintendetemi, malgrado questo suo forte intellettualismo è un film che riesce a sorprendere, incantare... Certo, bisogna stare al gioco, accettare l'esperimento del regista, ma se lo si fa, quel che ci troviamo di fronte è un esperienza unica, al limite tra il thriller e l'erotico, ai confini del cinema...

Basterebbe l'estetica formidabile a farci dimenticare dei contenuti difficilmente afferrabili... la fotografia straniante nella sua perfezione... le musiche, gli occhi timorosi della sensuale protagonista o tutte quelle scene in cui il rosso vivo del sangue si erge dal bianco delle pareti.


Un film che è l'apoteosi dell'onirismo. Surrealismo puro. Tutta immaginazione. Poi ci si può vedere la storia di una ragazza fragile attratta dal fascino del mistero, del male. Ma è uno di quei casi in cui tentando di spiegare un film, tentando di dargli una logica, non si fa che indebolirlo. Magari non ci ho capito niente, cosa possibilissima, magari l'intento del regista era altro...

Probabilmente qualcuno più bravo di me saprà fornirne un analisi più dettagliata, saprà scovarne significati nascosti, teorie filosofiche e quant'altro. Io, in tutta onestà, mi sento alquanto impotente, ma non posso non segnalarvi, non consigliarvi (ebbene si) questa opera.

Ciò che mi preme stavolta è destare la vostra curiosità. Questa più che una recensione è un invito che rivolgo a quei pochi cinefili che di rado capitano su questo blog di provare a vedere questa pellicola, provare ad immergersi... e magari provare a commentarla insieme, perché in rete si trova ben poco.

Fidatevi, è un qualcosa da scoprire, anche solo per vedere fin dove il cinema può arrivare, o forse solo per godere delle immense potenzialità di questo mezzo, che non deve essere per forza narrazione e questo film ne è una chiara dimostrazione.

Grazie ad Enrico Ghezzi per averlo mandato in onda su Fuori Orario e grazie a Luigi Rotondo di "The cinema & Music show" ed a "I controversi" per avermelo segnalato e consigliato!

“Che cosa cerchi qui?

Niente. E l'ho trovato”.




 


 


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