“Chissà
perché si fanno tante domande...io credo che non bisogna conoscersi
per volersi bene, o forse
non bisogna volersi bene”
Ho
sempre pensato che la potenza del cinema risieda essenzialmente nel
suo racchiudere in sé varie forme di arte. Il cinema è innanzitutto
arte figurativa, pittura, fotografia, capace di trasmettere emozioni
soltanto attraverso le immagini...Ma è anche musica, capace di
arrivare al cuore tramite le melodie, i suoni... Ed è filosofia,
letteratura, capace di scuotere anima e mente con parole. Questa
essenza del cinema, questa sua natura così poliedrica, questa sua
completezza, emergono in maniera preponderante da un film come
“L'eclisse” di Michelangelo Antonioni. Si, questo film è
l'essenza del cinema. Punto.
Un
susseguirsi di immagini meravigliose, una più emozionante
dell'altra. Dipinti in bianco, nero e grigio, capaci da soli di dire
qualcosa. E poi i suoni...il rumore dei tacchi a spillo di Vittoria,
mentre si aggira silenziosa e lenta nel suo appartamento, oppure
mentre cammina senza meta per strade pressoché deserte, in mezzo
agli alberi, ad una natura spoglia, indifesa nei confronti di una
società proiettata verso il progresso industriale (siamo nell'Italia
del boom economico). Il rumore del vento a fare da
sottofondo...interrotto saltuariamente dal rombo di una macchina che
attraversa l'incrocio... e poi di nuovo silenzio. Ed a rompere
l'incantesimo, poi, il marasma del palazzo della borsa, le urla degli
agenti finanziari.
I
dialoghi, pochi, ma intensi... sono frecce che arrivano dritte al
cuore, implacabili. La recitazione monumentale di Monica Vitti, che
reggendosi tutto il film sulle spalle, è capace di trasmettere
sempre quel senso di vuoto esistenziale, quella malinconia perenne,
quella tristezza di fondo difficile da celare. Ed è capace di
mostrarcela, in maniera sincera, più che credibile, anche quando
sorride, anche quando si lascia andare a risate liberatorie insieme a
Piero, mentre lo bacia, mentre gli parla, mentre gli fa capire che
vorrebbe amarlo, ma non ne è capace.
La
locandina del film farebbe pensare ad una storia di amore. In realtà
è una storia di assenza dell'amore. L'amore se c'è mai stato,
adesso non c'è più. Si riparte quindi da dove finisce “La notte”,
dalle tristi parole rivolte da Jeanne Moreau a Marcello Mastroianni
in uno dei finali più belli della storia del cinema: “Se
stasera ho voglia di morire è perché non ti amo più. Sono
disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato
tutta la mia vita. Vorrei non esister più perché non posso più
amarti.”
“L'eclisse”
riparte proprio da qui, da un'amore finito. La protagonista Vittoria
(Monica Vitti), non ce la fa più...deve chiudere la propria storia
con il fidanzato e provare a guardare avanti. Ma il suo, come ho già
detto, altro non è che un vagare senza meta. Il suo desiderio di
evasione appare evidente, la notte in cui viene invitata a casa di
una vicina di casa, una donna nata in Kenya ed adesso trasferitasi in
Italia. Nella scena della danza di Vittoria, truccata da negra, con
tanto di cerchi dorati al collo, emerge in maniera preponderante
quella sua voglia di fuggire. Da qualche altra parte, non importa,
basta fuggire dal grigiore quotidiano della sua vita. “Forse laggiù
si pensa meno alla felicità. Le cose devono andare avanti per conto
loro. Qui invece è tutto una gran fatica. Anche l'amore.”
Segue
la sequenza del viaggio in aereo, in cui ancora una volta il primo
piano sulla Vitti, ci mostra degli occhi sognanti, ma allo stesso
tempo velati di malinconia. Nella seconda parte del film, invece, al
palazzo della borsa, dove la madre ha perso un sacco di soldi,
incontra un giovante agente finanziario (Alain Delon), un rampollo
dell'alta borghesia romana, proiettato verso una carriera di
successo. Insensibile, interessato soltanto al denaro. Piero è tutto
ciò che non è Vittoria: spavaldo, sicuro di sé, orgoglioso,
ambizioso, donnaiolo. I due cominciano a frequentarsi, stanno bene
insieme, malgrado siano completamente diversi, ma è come se ci fosse
un muro tra i due. Non c'è empatia, non c'è possibilità di
comunicazione. C'è spazio soltanto per l'insoddisfazione, la noia.
Vittoria vorrebbe innamorarsi, di nuovo, probabilmente per
dimenticare la storia da cui è appena uscita, forse per svagarsi,
forse per noia, forse per paura... Non lo sappiamo, perché nemmeno
lei lo sa.
Si
alternano così momenti molti intimi in cui sembra esserci più
coinvolgimento, ad altri in cui quel muro di incomunicabilità tra i
due sembra ancora più invalicabile, in cui appare evidente la
mancanza di passione, l'assenza di trasporto emotivo, l'aridità dei
sentimenti. Ed in questo i paesaggi del film, le stanze, il modo in
cui sono arredate, i palazzi tutti uguali, bianchi, tristi...bastano
a trasmettere quella freddezza, quel gelo che è il gelo dell'anima,
più che della società.
“Chissà
perché si fanno tante domande – si chiede Vittoria – io credo
che non bisogna conoscersi per volersi bene. O forse non bisogna volersi bene.”
Quel
che si respira, quindi, è un'atmosfera di piena alienazione, quasi
apocalittica, senz'altro cupa, priva di colore. Per questo è un film
perfetto nel suo bianco e nero, nei toni di grigio così esplicativi.
Non avrebbe potuto essere in altro modo. Così emerge soltanto la
fragilità dell'uomo nella società moderna, la freddezza dei
sentimenti, il senso di vuoto. Bastano i silenzi e le immagini a
raccontarli. Eppure, in tutta questa sua freddezza è un film capace
di arrivare al cuore. Ah, se solo avessi le parole per descriverlo.
E' come se dallo schermo uscissero delle onde, invisibili,
inascoltabili, che però riescono ad attraversarci. Un film dove
domina il niente, che però non mi ha mai minimamente annoiato ed
anzi, nel suo essere gelido, è riuscito a trasmettermi calore più
della stragrande maggioranza dei film che mi sia capitato di vedere.
Un film sincero...capace di mantenere intatto il suo fascino e la sua
forza espressiva a più di cinquant'anni di distanza da quando è
stato proiettato per la prima volta in sala. Menzione a parte merita
il finale, misterioso e cupo, in cui i protagonisti escono di scena,
in cui a quell'incrocio dove si erano dati appuntamento nessuno dei
due si presenta, mentre sulla città cala il buio (Perenne o è solo
un'eclisse?) beh... è davvero meraviglioso.
Bellissima rece, bravo. Questi film sono da riguardare continuamente, da recuperare e ristudiare, approfondire, perché c'è sempre un dettaglio, in essi, che apre nuove strade, a nuove riflessioni. Cinema dell'evento, avrebbe detto Deleuze.
RispondiEliminaGrazie... in tutta onestà di Antonioni ho visto ancora poco... e su di lui e la sua poetica ho letto ancora meno. Spero di non aver scritto cavolate! :-P
EliminaGrandissimo film di Antonioni e recensione curatissima, complimenti. Forse, nella sua totalità ho preferito "Deserto Rosso", c'è da dire però, che qui ci si trova di fronte a un finale sconvolgente, da brividi. Uno dei più estatici di tutta la storia del cinema nonchè, coraggiosamente all'avanguardia.
RispondiEliminafilm notevolissimo e il finale...
RispondiEliminail finale è qualcosa di geniale e sì, meraviglioso
Questo film mi piace molto, credo sia uno dei migliori film di Antonioni, regista che apprezzo moltissimo, la tua recensione è molto approfondita complimenti :)
RispondiEliminaGrazie mille!! qual è il tuo preferito di Antonioni?
EliminaComplimenti per la bellissima recensione! Antonioni ha creato un vero capolavoro in quattro atti sull'amore: a partire dall'Avventura e concludendosi con Deserto Rosso. Anche per me comunque l'Eclisse è una delle sue opere migliori insieme alla Notte. Una Monica Vitti veramente "monumentale"
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