Non so perché decisi a suo tempo di
procurarmi questo film ed ancora meno so cosa mi abbia spinto a
vederlo adesso, eppure dopo la visione mi sento assolutamente di
consigliarlo, spendendoci sopra qualche parola. Vincitore dell'Orso
d'argento a Berlino nel 1993, tratto dall'omonimo romanzo di Ian
McEwan (che non ho letto, quindi non so bene giudicare la qualità del'adattamento), “Il giardino di cemento” è un film
oggi quasi dimenticato. Eppure io penso che non me lo dimenticherò
facilmente...
Film doloroso ed amorale eppure poetico
ed intenso. Uno schiaffo alla morale comune, che forse nel 1993
faceva ancora più male di oggi, perché non eravamo ancora abituati
a vedere un certo tipo di cose sullo schermo: incesto tra ragazzini,
mamme morte tenute in cantina, bambini di sei anni che amano
travestirsi da femmina... Sta di fatto che, con tutti i suoi limiti, che non sono pochi, “Il giardino di cemento” appare comunque, anche oggi, a
distanza di vent'anni, una pellicola coraggiosa, raffinata, delicata,
forse semplice nella forma, nella sua regia essenziale, ma non certo
altrettanto semplice e delicata nei contenuti. Anzi!
Anche perché fin dall'inizio ci
troviamo a fare i conti con la morte. E' infatti la storia di quattro
fratelli, (il protagonista Jack, quindicenne, la sorella Julie di
poco più grande di lui, la sorellina più piccola di 11 anni ed il
fratello minore Tom di sette anni), i quali nel giro di poco tempo
restano senza i genitori. Il padre muore probabilmente per un infarto
mentre sta spargendo il cemento nel cortile, proprio nelle prime
immagini del film, mentre Jack in preda alle irrefrenabili pulsioni
sessuali tipiche di un adolescente si sta masturbando al gabinetto.
La madre, invece, costretta a letto dalla malattia, muore nel sonno
dopo pochi giorni. A quel punto, per paura di essere separati ed
affidati ciascuno ai servizi sociali i quattro fratelli decidono di
non comunicare alle autorità la morte della madre. Così, dopo
averla avvolta in una coperta, la trascinano dentro un vecchio baule
di metallo, in cantina, e la ricoprono di cemento. Una scelta
insensata, assurda, oppure naturale? Un atto di coraggio oppure di
paura? Qualunque cosa sia, un gesto che può apparire decisamente
disturbante. Come tutte quelle scene in cui pressappoco scopriamo
come Jack sia fortemente attratto dalla sorella che di certo, dal
canto suo, non fa niente per sfuggire alle sue attenzioni ed anzi,
con finta ingenuità, lo provoca. Eppure le scene tra i due,
interpretati veramente bene da dei giovanissimi Andrew
Robertson
e Charlotte
Gainsbourg, sono magnifiche, nella loro leggerezza. Ed è proprio la
prova della Gainsbourg ad elevarsi per intensità. Il suo è un
personaggio strano, indecifrabile, sempre ambiguo nel modo in cui si
relaziona con il fratello, ma proprio in ciò sta il suo fascino. Per
non parlare del più piccolo Tom che si sente una femmina e gioca ad
interpretare la sorella Julie con tanto di gonna e parrucca gialla.
Ma non c'è ricerca fine a se stessa della provocazione e mai si
scende nel ridicolo, anche se il rischio è sempre in agguato...
Insomma,
“Il giardino di cemento” è si un film che fa storcere il naso,
distogliere lo sguardo, ma non si ha l'impressione che l'intento sia
soltanto quello di provocare. Ci si riesce ad emozionare, forse
commuovere. Come la scena in cui Jack ed il piccolo Tom, nudi nel
lettino del bambino, si lasciano andare ai ricordi dell'infanzia, dei
genitori, che ci appaiono sbiaditi, in toni di grigio...
E'
vero: per tutta la durata del film, ci troviamo in mezzo alla
desolazione, alla sporcizia, alla polvere, al puzzo del corpo della
madre in putrefazione, ma allo stesso tempo, dopo un inizio che forse
fa un po' troppa fatica ad ingranare, il film diviene coinvolgente e si raggiungono dei notevoli
sprazzi di poesia, che credetemi, valgono il tempo dedicato alla
visione.
Voto:
un 7.5, ma dal sapore particolare e difficilmente dimenticabile.
Visto da poco pure io, apprezzato ma non ne sono rimasto entusiasta. Credo però, tu ne abbia dato la lettura più giusta ed equilibrata, descrivendolo fin da subito come un"film doloroso ed amorale eppure poetico ed intenso". E' vero e personalmente, l'aspetto più interessante è proprio questo progressivo intensificarsi dell'amoralità e della perversione senza più ritegno, specialmente nel personaggio della sorella, cosa che a inizio film non sembrava. Alla fine è lei che conduce il "gioco" e la scena finale (una mazzata) è chiarificatrice in questo senso.
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EliminaUhm, mi sa che questo allora lo passo, del resto ne ho una sfilza di film da visionare che chissà quando mai finirà, anzi è probabile che 'sta sfilza di film mi sfinirà.
EliminaLo so, oggettivamente non è niente di eccezionale... ma mi ha emozionato quella contrapposizione tra la pesantezza e la scabrosità dei temi e quel delicato lirismo, che trasmette invece leggerezza... mi piacciono i film in cui qualcosa che di per sé è perverso, "malato", "cattivo" viene presentato in chiave poetica... per questo mi ha lasciato un sapore particolare, ma il giudizio chiaramente è più soggettivo che oggettivo ;-)
RispondiEliminaChiaro, a ogni modo e considerato soprattutto il decennio in cui è stato realizzato, resta un film alquanto insolito e degno di nota.
EliminaAh, grazie per la citazione su Facebook ;)