Di fronte ad un film come “12 anni schiavo” penso si debba mettere
da parte certo “snobismo” cinefilo ed essere onesti: il terzo lungometraggio di
Steve Mc Queen è un gran bel film. E credetemi, lo dice uno che sin da subito aveva storto il naso di fronte al nuovo progetto del regista di “Hunger” e “Shame”
ed era rimasto titubante di fronte a questa mega-produzione con un cast di spicco
ben distante dai suoi precedenti lavori, temendo un classico film hollywoodiano
ruffiano, buonista e moralista.
Ecco, “12 anni schiavo”, a mio modo di vedere, non è niente di
tutto ciò. Certo, Mc Queen ha dovuto rivedere un po’ il suo stile di regia, ma
la sua impronta resta comunque evidente. Ovviamente è un film pensato per il
grande pubblico, per essere apprezzato da molti (cosa che non si poteva dire
per Hunger, né soprattutto per Shame), ma questo fatto non costituisce un
difetto di per sé. Se un regista come Steve Mc Queen, decide di parlare di un
tema a lui caro (sebbene trito e ritrito) e di parlarne ad un vasto pubblico, è
davvero una colpa, se poi il risultato è di questa portata? Il problema è che
spesso i film pensati per un grande pubblico si rivelano scontati, banali,
privi di valore. Ma non è questo il caso.
“12 anni schiavo” è un film potente, fatto egregiamente bene,
quasi impeccabile (ed è forse questo l’unico difetto: essere fin troppo
perfetto). La regia è splendida, la fotografia sublime e soprattutto è ottimo
il modo in cui vengono raccontati i personaggi ed il loro patire. Ancora una
volta, infatti, come in Hunger e Shame tema centrale è la sofferenza. La
sofferenza fisica, innanzitutto, quella della carne, del corpo che si deteriora, della
schiena sfregiata dalle frustate, del sangue in bella vista, delle smorfie di
dolore, del sudore. Ma anche la sofferenza mentale, psicologica, quella delle
umiliazioni subite, del distacco dai propri cari, della perdita completa delle
speranze che ti porta persino a chiedere di essere uccisa…(che scena magnifica
quella!) Quando non vedi via d’uscita, quando pensi che la tua vita ormai è
segnata.
Ogni personaggio è delineato attentamente, nelle sue sfaccettature
psicologiche. Bellissimo quello del protagonista, Solomon
Northup, violinista nero di New York, uomo libero che per un inganno si ritrova
dall’oggi al domani ad essere venduto come schiavo e finirà presto nelle
grinfie di uno spietato proprietario terriero del sud degli Stati Uniti, ma che
durante il lungo periodo di schiavitù non perderà mai la sua fierezza, messa
bene in evidenza dai continui primi piani sugli occhi. (parentesi: ritorna anche in questo film la
grossa attenzione sugli occhi dei protagonisti, oggetto filmico molto caro a
Steve McQueen, a cui davvero basta spostare la telecamera sugli sguardi dei
personaggi per trasmettere vagonate di emozioni. )
Ma splendido anche il personaggio del folle
proprietario terriero interpretato da un sempre fenomenale Fassbender, attore
feticcio di Mc Queen. Il suo è un personaggio complesso, così succube della
moglie (lei ancora più spietata), incapace di controllare le proprie pulsioni,
i propri scatti d’ira. Beve, urla, cerca di far valere la propria forza quando
invece sa di essere un debole… e sembra quasi allucinato da idee religiose
distorte. Un personaggio complesso, lo ripeto ed assolutamente non stereotipato. E poi che dire del personaggio della povera
Patsie, così fragile ed umano?
Ma, credetemi, sta nello stile di regia il vero
punto di forza. Nei continui primi piani, nei silenzi, nella scelta dei colori,
nella cura dei dettagli (ne dico uno: le bambole fatte con le foglie di grano
in una sequenza bellissima). E poi tutti quei lunghi piani sequenza come quello
in cui Solomon resta attaccato alla fune per un giorno intero, dopo che avevano
tentato di impiccarlo, oppure quello della flagellazione di Patsie in cui è lo stesso Solomon ad essere costretto a frustarla. E poi ancora tutti quei bellissimi paesaggi usati da Mc Queen nel
passaggio da una scena all’altra, che forse dicono più loro di centomila parole…
assieme alla magnifica colonna sonora firmata Hans Zimmer.
In definitiva, senza dilungarmi più del dovuto, “12
anni schiavo” è stato ben al di sopra delle mie aspettative. Sinceramente non posso dire di averlo amato
come altri film su questo blog, non lo reputo un capolavoro e lo considero
decisamente inferiore a “Shame” , ma è un film che si merita gli elogi e non le
critiche fatte per partito preso. E’ un film da vedere. Un film forte. Un bel
film.
*nota a margine: forse un bel difetto ce l’ha
ripensandoci: il personaggio del salvatore, interpretato da Brad Pitt (che
avendo messo i soldi per la produzione, ci si è voluto infilare dentro), così
simile a Cristo con quei capelli lunghi e la barba, che un po’ stona con il
resto del film, ma che di sicuro non ne abbassa il valore.
anche per me un film molto potente.
RispondiEliminae non m'è sembrato nemmeno troppo "piacione", anzi...
sono d'accordo pure su pitt e il suo personaggio, la parte un pochino più debole di un film per il resto parecchio forte.
Che dire... io l'ho trovato proprio ruffiano, buonista e moralista! :) Oltre che ideologicamente poco onesto: la schiavitù era era un problema essenzialmente politico ed economico (i grandi proprietari terrieri del Sud osteggiavano la schiavitù non tanto per mancanza di etica civile, ma solo perchè avrebbero perso la manodopera a costo zero) ma di tutto questo nel film non se ne fa una parola. Una pellicola didascalica e piatta, buona forse per le scuole. E per vincere l'oscar! :)
RispondiEliminaMah... giusto confrontarsi. Secondo me l'aspetto politico della vicenda non viene proprio trattato, non per superficialità, ma perchè ciò che interessa a Mc Queen è la persona e la sua sofferenza. C'è l'umanità al centro, quello è ciò che gli interessa. E' una prospettiva diversa. L'interesse è spostato da un'altra parte. Anche in Hunger, del resto, non è che venisse raccontata bene la vicenda politica. è soltanto di contorno. Interessava Bobby Sants, il suo dolore, il suo corpo che si deteriorava... qui è lo stesso.
EliminaNon la penso come Kelvin, ma sono rimasto in parte deluso. Bel film, questo sì, ma forse dovrei rivederlo senza pensare che l'ha diretto McQueen.
RispondiEliminaPremetto che io non conoscevo McQueen prima, io l'ho trovato davvero toccante e ben realizzato.
RispondiEliminaNon penso sia semplice, per quante siano le persone a provarci, trattare questa tematica con tanto rispetto. Detto questo, e parlando di schiavitù, non è nemmeno lontanamente paragonabile a Django Unchained di Tarantino.