Donne che sembrano fantasmi, ma quei fantasmi allo stesso tempo
appaiono così reali, così umani. Sentimenti imprigionati e nascosti sotto una maschera...
ne va della propria vita, della propria libertà, anzi della propria illusione
di libertà. Tutte le loro speranze sono legate proprio a quella maschera che
sono obbligate ad indossare. Ed il bello è che la riacquisizione di sé, della
propria identità, avviene esattamente quando quelle donne-fantasmi decidono di coprirsi
il volto per essere se stesse.
Una tragica sinfonia, tutta al femminile, collocata in un preciso
contesto storico, eppure così “senza tempo” e “senza luogo”, forse universale.
Si, perché a guardare bene, a volgere lo sguardo un po' più in profondità, si
capisce chiaramente che non è soltanto la storia di un bordello di alta classe. Un film fatto di
sentimenti, di grida silenziose. Non sono le ragazze che vivono e lavorano in
quel bordello parigino di fine ottocento, ad essere protagoniste del film, ma sono
le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze, la loro rassegnazione,
l'enorme affetto che le lega, sulla base di quel destino condiviso.
Quella vita se la sono scelta loro. Guadagno facile, vitto e
alloggio...ma poi ci sono rimaste prigioniere, intrappolate dai debiti,
confidando soltanto nell'arrivo di un ricco uomo, capace di liberarle,
sposandole. C'è chi come la “piccola” che riesce a scappare prima che sia troppo
tardi, chi invece come Clothilde non vede più una via d'uscita. Chi addirittura
finirà per morirci là dentro, dopo aver contratto la sifilide.
Tante storie insignificanti di vite insignificanti. Non c'è un
personaggio principale. Potrebbe sembrare “l' Ebrea” Madeleine, sfregiata nel
volto da un cliente e destinata a vivere il resto della sua vita da “mostro”.
Come il Joker, costretta a sorridere per sempre, anche in mezzo alla
disperazione. Ma la sua è soltanto una storia. Non sono le individualità ad
avere importanza nel film, è tutto l'insieme. Ecco quindi che quella Casa di
Tolleranza appare come un essere dotato di vita propria, un magma vivente fatto
da tante anime. E noi spettatori in quel magma ci troviamo immersi, in un gioco
di specchi, sbalzati in qua e la tra continui flashback, sequenze oniriche e
siparietti in cui le nostre “puttane” sono costrette a recitare una parte.
Quella della bambola, della geisha, sottoposte ad esaudire le più assurde
perversioni dei clienti.
Sono attrici. E la loro vita è un film. E quindi assistiamo ad un
film dentro il film. C'è persino un provino per partecipare. Tutto è così
tristemente finto, niente sembra reale. Soltanto quando le ragazze si spogliano
dei loro trucchi, si svestono e si fanno il bagno, la realtà fa capolino, con
tutta quella potente carica di umanità. Ed allora scopriamo che è anche
possibile innamorarsi dei clienti...
Per tutti questi motivi, la lunga sequenza della gita al parco,
unica girata in esterno, appare nel contesto, di una bellezza sconvolgente. E
quel tuffo nel lago trasmette un immenso senso di libertà.
Terribile invece la scena della visita ginecologica, in cui le
ragazze appaiono veramente oggetti, private completamente della dignità.
E poi c'è quel finale di una potenza incredibile, la vendetta che
finalmente si consuma, ma senza troppo pathos che avrebbe stonato con tutto il
resto. Si perché la pellicola procede lenta, pacata. Tutto è controllato. Ma
non è fredda come si potrebbe pensare, tutt'altro...
Questi sono i motivi per cui il film mi ha entusiasmato. Poi c'è
l'aspetto estetico formidabile. Ogni inquadratura sembra un dipinto, ogni
dettaglio è attentamente curato. I costumi sono eccezionali e lo stesso si può
dire per la colonna sonora, che giustamente non si limita alla musica del
tempo, ma spazia tra vari generi, da Bach al Blues ed è essa stessa parte
integrante dell'evolversi delle varie situazioni.
Ancora una volta, pertanto, mi rimane davvero difficile capire perché
una pellicola del genere sia stata presa così poco in considerazione e così
disprezzata dalla critica...forse non si è voluto provare a spingersi al di
sotto della superficie (come accaduto di recente con il meraviglioso
Nymphomaniac di Lars Von Trier). La valutazione su Mymovies è ridicola (ma sono
gli stessi che hanno dato uno, dico uno, a Post Tenebras Lux di Carlos
Reygadas).
Poi sono ben certo di aver colto davvero poco di ciò che il film
possiede e per questo rimando alla meravigliosa recensione di Giulio Sangiorgio
de “Gli Spietati” (www.spietati.it) ,
di tutt’altro spessore culturale rispetto alla mia.
Mi sento quindi un po’ impotente e sono titubante nel dirlo, ma lo
voglio dire comunque: questo è un grande film. Così difficile da afferrare, si
lascia prendere, poi ti sfugge... da vedere e rivedere. Bellissimo.
“Eppure la maison rimane una prigione, un luogo di non libertà, che Bonello fotografa con precisione: perché le abitanti non vedono la luce dell'esterno, perché i debiti le incatenano, perché, soprattutto, il loro magro orizzonte è socialmente coatto, cieco, aperto all'unico miraggio di un benessere insperato, di un riscatto (letterale) da parte di un signore che le salvi, che le compri, che (non) le liberi. Si soffoca, in L'Apollonide, filmcervello che coincide con un ambiente da cui è quasi impossibile uscire, sinapsi che sono porte e corridoi, neuroni che sono corpi di donne in vendita. Un immaginario chiuso, un film (dunque) circolare, che entra in loop, reitera momenti, cambia prospettive, ricontestualizza i propri frammenti, modula solo variazioni interne («La ripetizione – ricorda citando Brian Eno – è una forma di cambiamento»)." -- Giulio Sangiorgio (http://www.spietati.it)
“Così L'Apollonide si
configura sfacciatamente come un'opera sul cinema: ambientata sul finire
dell'800, all'alba del cinematografo, strutturata intorno a scene (sociali) in
cui recitare, incentrata sui rapporti di potere impliciti nello sguardo,
esplicita la sua vocazione nello smaccato casting: i corpi delle donne sono
negoziati da interpreti che, nella vita, lavorano come cineasti. Così Noémie
Lvovsky è la padrona/regista dell'Apollonide (e in una scena sottopone
Pauline/Iliana Zabeth a un provino), Xavier Beauvois, Jacques Nolot, Pierre
Léon e Damien Odoul sono i clienti a cui i corpi mercificati si conformano,
Pascale Ferran è la voce over che pronuncia le sentenze del libro di Pauline
Tornowsky. Ed è un invito. Ed è una sfida. L'obiettivo: un cinema fuori dagli
schemi, che rifletta e poi si emancipi dalle strutture che ingabbiano il vedere.
Così L'Apollonide è
esatto nella ricostruzione e insieme capace di estraniarsene, in grado di
restituire identità ai personaggi e abbracciarli in un unico corpo sognante, in
un terribile fine collettivo. E mentre fonde le soggettive visive,
mentali, acustiche, il film s'inerpica di fronte ai nostri occhi, rizomatico e
sprezzante (musiche contemporanee tra costumi d'epoca), nello spazio e nel
tempo, nei corpi e nelle menti.” -- Giulio Sangiorgio (http://www.spietati.it)
Direi che negli ultimi tempi non passa giorno in cui penso a questo straordinario film (ignora i pessimi giudizi di my movies, non è cinema per loro!), qualcosa che sento l'assoluta necessità di rivedere, come giustamente scrivi, perchè il cinema di Bonello, tutto (hai mai visto "De la Guerre" e "Tiresia"?) non si può liquidare con una sola visione. Per questo ho letto a tratti la tua recensione (che comunque, mi pare colga appieno lo spirito del film: azzeccato tra l'altro il riferimento alle donne viste come fantasmi), perchè voglio ripassare dopo una doverosa revisione... Per il momento, complimenti per l'ottimo rispolvero: indispensabile :)
RispondiEliminaNon ho visto altro di Bonello, ma sicuramente dopo questo film (e dopo il tuo consiglio, sempre apprezzatissimo da parte mia) cercherò di recuperarli. Aspetto una tua recensione su questo... tra l'altro mi è venuto finalmente a mente dove avevo visto quella foto di Madeleine che piange: sul tuo blog! ora che ti ho aggiunto su MUBI, sappi che prenderò molto spunto dalle tue visioni ;-) Sei uno dei miei principali punti di riferimento!
Eliminamesso in lista :)
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