COME
PESCI IN UN ACQUARIO...
Birdcage
Inn è il terzo lungometraggio girato da Kim Ki Duk e pur essendo
ancora decisamente “acerbo” come lo erano i precedenti film "Crocodile" e "Wild Animals", non è
privo di suggestioni poetiche ed innumerevoli spunti di riflessione.
L'analisi della società coreana che ne è esce e dell'umanità in
generale presenta già quella spietatezza e quel pessimismo di fondo
che caratterizzerà anche i lavori successivi...
Al
centro della scena c'è una famiglia molto in basso nella scala
sociale, composta da padre, madre, fratello e sorella. Fonte di
guadagno è la gestione di uno squallido motel-bordello, dove i
clienti possono passare la notte in compagnia di una prostituta,
Jin-Ah,
l'altra protagonista, che di notte vende il suo corpo e di giorno si
dedica alla sua più grande passione: l'arte. Prende il suo quaderno
e si reca in spiaggia e lì dipinge, piantando a fianco a se la
riproduzione di un quadro di Egon Schiele*, come se fosse un
ombrellone. Quando cala il buio, invece, comincia la solita routine
fatta di violenza, sfruttamento, umiliazione, non solo da parte dei
clienti, anche dal padre di famiglia e dal figlio. In più, è odiata
e disprezzata dall'altra figlia. Hye-mi infatti non può accettare
Jin-Ha, si vergogna della propria famiglia e proietta tutta la sua
rabbia repressa sulla giovane prostituta...
Tutto
qua. Un affresco reale di quella che è una problematica ben radicata
nella società coreana. Chi conosce Kim Ki Duk, però, sa bene che la
realtà è solo il punto di partenza per un dispiegarsi continuo di
simbolismi e per una riflessione che si fa universale e riguarda
l'intera umanità.
Ecco...Forse
quei pesciolini rossi che in varie scene del film si ritrovano
agonizzanti fuori dall'acqua, rappresentano alla perfezione la
condizione della protagonista, costretta a vendere il proprio corpo
ad altre anime disperate che vagano in cerca di un po' di sollievo
tra le gambe di una ragazza. Come i pesci che sono in trappola dentro
un acquario, ma che non sono in grado di vivere al di fuori di esso,
anche lei non può fuggire dalla propria prigione. E vedendo il tutto
sotto una prospettiva più ampia, nemmeno gli altri personaggi
possono evadere dalla loro condizione, dal loro destino. Siamo tutti
puttane, tutti pesciolini rossi. Oppure tutti come quelle tartaruga
inquadrata all'inizio dei film che si trova a vagare indecisa
sull'asfalto della strada mentre le macchine le sfrecciano a fianco.
Da
quella prigione non può liberarsi il padre di famiglia, la cui fonte
di guadagno è proprio lo sfruttamento della prostituzione, proprio
come sarà per il “Bad Guy” del capolavoro successivo. E non è
che non possa per ragioni economiche, il problema è un altro... è
nato in quel mondo, probabilmente non è istruito, probabilmente non
ha visto “altro”. Un po' come sarà anche il vecchio de “L'arco” ripensandoci bene: un torturatore che, però, non riesce a tenere
dentro di sé l'affetto per quella povera ragazza (ed infatti verrà
fuori più volte nel corso del film). E' colui che ti stupra, ma che
poi in altre occasioni ti protegge, ti abbraccia, ti coccola.
In
effetti, tutti gli uomini del film sono raffigurati come delle bestie
“strane”. Dico bestie perché sembrano animali feroci e spietati
in preda a degli istinti incontrollabili di violenza e prevaricazione
sul più debole... ma dico anche “strane” perché possiedono
quella fragilità e quella debolezza d'animo che difficilmente si può
trovare in una tigre o in una iena. Sono “umani”.
Ma
è soprattutto una storia al femminile. Le protagoniste vere,
infatti, sono le due donne. Vittime entrambi, una in modo, una
nell'altro, apparentemente incapaci di reagire che però, alla fine
non si arrendono... anzi, si evolvono man mano che la pellicola va
avanti... maturano. Come matura il rapporto tra Jin-Ha e la figlia
del proprio sfruttatore. Imparano a conoscersi, a rispettarsi, si
osservano, si seguono, provano a fare gli stessi gesti in un surreale
gioco di specchi...
A
metà film, infatti c'è una frattura: la storia prende tutta
un'altra piega. Dal conflitto si passa all'amicizia, dalla diffidenza
alla fiducia ed alla stima. Quelle due donne che sembravano così
fragili e così distanti tra loro, attraversano entrambe,
parallelamente, un processo di crescita interiore e dopo tanta
sofferenza, cominciano a diventare complementari, a prendere il buono
l'una dall'altra... e quello che era sin lì un ritratto realistico,
comincia ad acquistare in pieno stile Kim ki Duk una notevole forza
poetica.
Ed
alla fine, quindi, non resta che liberare finalmente quel pesciolino
rosso, lasciarlo andare nell'oceano... osservarlo gioire finalmente
della propria libertà.
Tutto
troppo bello per essere reale, vero?
Ed
infatti nevica...in primavera.
Guardate questo film. Un'altra meraviglia firmata Kim Ki Duk.
*i quadri di Schiele si ritroveranno anche in film successivi. E' evidente l'amore di Kim per tale artista. Anche il regista sud-coreano, del resto, nasce come pittore, prima di approdare alla telecamera.
se tutti i film minori fossero così:)
RispondiEliminaa me è piaciuto molto, altrimenti non avrei scritto questo:
"un film apparentemente semplice, e allo stesso tempo ricco, un piccolo capolavoro acerbo di un regista che poi farà cose anche più belle.
i personaggi sono davvero ben definiti, anche possono sembrare stereotipi.
Kim ki Duk mostra il cambiamento di Hye-mi, che capisce molte cose, e sopratutto la protagonista Jin-ah è veramente un concentrato dei fioretti di san Francesco."